giovedì 21 novembre 2013
​Ieri a Torino convegno del Gruppo Abele: lo sfruttamento, che non di rado diventa prassi, oltre a negare i diritti basilari dei lavoratori, sottrae alle casse dell’Inps tredici miliardi di euro l’anno.
La difesa creativa che il popolo conosce di Sandro Lagomarsini
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​Sfruttamento, caporalato, lavoro nero sono in aumento. Non solo a Rosarno, anche in provincia di Cuneo. E oltre a negare i diritti basilari dei lavoratori, in certi casi fino alla riduzione in schiavitù, sottraggono alle casse dell’Inps tredici miliardi di euro l’anno. Non sempre c’è dietro la criminalità organizzata: a volte lo sfruttamento diventa prassi. Un indizio arriva dai permessi di soggiorno. Se in passato i permessi nuovi superavano sempre quelli scaduti, da due anni c’è stata un’inversione: nel 2012 sono stati 180 mila quelli scaduti, quelli rilasciati 50 mila: gli altri con ogni probabilità sono finiti nell’illegalità. A lanciare l’allarme è il Gruppo Abele, in un convegno svoltosi ieri a Torino, dopo un percorso di due anni assieme a forze dell’ordine, Camera di commercio, sindacati e associazioni. Lo scopo è giungere a un protocollo d’intesa per unificare pratiche e condividere banche dati: una lotta che, è stato ribadito, "conviene" allo Stato. Proprio ieri la Guardia di finanza di Saluzzo (Cuneo) ha scoperto in una ditta cinese tre operai in nero (su cinque) e in un’azienda agricola della Val Varaita due lavoratori indiani in nero (su tre). Proprio Saluzzo è stata teatro, quest’estate, di una battaglia per i diritti di circa seicento braccianti stagionali, costretti a vivere in una baraccopoli. «Sul tema del lavoro e dell’immigrazione, le leggi italiane vogliono l’illegalità». Monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, sostiene la necessità di un «permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, che permetta a chi sbarca sulle nostre coste di non diventare automaticamente clandestino. Tanto più che ogni anno continueranno ad arrivare in Italia oltre centomila profughi». Perego ha analizzato la schizofrenia dei dati che vedono salire la disoccupazione degli immigrati e, al tempo stesso, aumentarne l’occupazione (nell’ultimo quinquennio sono passati da 1 milione 700 mila a 2 milioni 300 mila): «La domanda di lavoro immigrato sale, ma è difficile la riconversione per chi, come nell’edilizia, perde l’occupazione».

C’è poi il problema del monitoraggio: «Com’è possibile che nel 2012 siano stati rilasciati solo ottanta permessi di soggiorno per protezione sociale in seguito a sfruttamento lavorativo, che è stato individuato solo in tre regioni? Numeri ridicoli: è stata abbassata la guardia e gli strumenti sono inadeguati». Sotto accusa anche i sindacati, ai quali per la prima volta quest’anno sono diminuite le iscrizioni degli immigrati, e le agenzie di collocamento, che fanno incontrare domanda e offerta solo nel 3 per cento dei casi. Anche il reato di caporalato rischia di essere inapplicabile, come ha spiegato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: «È una legge che colpisce il caporale, ovvero l’intermediatore, ma non il datore di lavoro, e questo è un grosso limite». Inoltre, spingere gli sfruttati a denunciare i loro aguzzini è molto difficile. «Ci vorrebbe come incentivo un fondo statale, sul modello di quello per le vittime della strada, che preveda risarcimenti agli sfruttati».

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