mercoledì 25 marzo 2015
"Per sconfiggere il terrore dell'Is ciascuno deve compiere un atto di carità in più", è l'appello lanciato dal fratello e dalla moglie degli ostaggi britannici uccisi dai jihadisti del Califfato. Ribadito l'impegno a promuovere azioni di solidarietà. (Foto: David Haines)
COMMENTA E CONDIVIDI
"Per sconfiggere il terrore dell'Is ciascuno deve compiere un atto di carità in più". È l'appello rilanciato stamani dai familiari di David Haines e Alan Henning, i due ostaggi britannici decapitati in Siria rispettivamente il 13 settembre e il 3 ottobre 2014. Mike Haines, fratello di David, e Barbara Henning, moglie di Alan, hanno voluto incontrare il Papa proprio per "testimoniare insieme", come hanno fatto già con una lettera aperta, il loro "messaggio di unità tra i popoli", riferisce l'Osservatore Romano. E rilanciare, appunto, l'appello a "continuare a operare per il bene soprattutto laddove c'è più bisogno". Ad accompagnarli all'udienza, tra gli altri, l'ambasciatore britannico presso la Santa Sede, Nigel Baker, e l'imam londinese Shah Nawaz Haque.

David Haines "Mio fratello - confida Mike Haines - era entusiasta del suo lavoro come operatore umanitario: aiutava chiunque avesse bisogno senza badare alla razza o alla religione". Militare di carriera, aveva scelto il servizio di volontariato a tempo pieno dopo essere stato nei Balcani. Era stato anche in Libano e Sud Sudan. Poi era partito per la Siria, nonostante fosse sposato e avesse due figli, "con gioia e con la sola aspettativa di stare accanto ai più poveri". Era lo stesso spirito che animava Alan Henning, ricorda la moglie a nome anche dei due figli: "Sta a noi impedire che le azioni violente di poche persone ostacolino l'unità tra la gente di ogni religione". A Francesco hanno ribadito il loro impegno a promuovere azioni di carità per sconfiggere l'odio: "Quegli assassini non ci faranno smettere di credere in ciò che ha portato alla morte i nostri cari: il servizio ai bisognosi". A dare forza a questa testimonianza erano presenti in piazza San Pietro anche i leader musulmani che ieri hanno dato vita all'incontro "Cattolici e sciiti. Responsabilità dei credenti in un mondo globale e plurale", promosso a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio e dalla Imam al-Khoei Foundation, realtà internazionale legata alla massima autorità dell'islam sciita iracheno, l'ayatollah Ali Sistani. Un incontro, definito "storico" da entrambe le parti, che vuole "rafforzare la via del dialogo contro le derive violente dell'estremismo". I contenuti di questo dialogo sono stati presentati al Papa, stamani, da una decina di leader religiosi sciiti provenienti da Iran, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Bahrein e Kuwait. Nel confronto non è mancata una presa di posizione contro il "terrorismo religioso che diffonde nel mondo un'immagine terrificante della religione musulmana" spiega il libanese Mohammad Hassan Al-Amine. "Musulmani e cristiani devono lavorare insieme per la pace" è il pensiero di Waleed Faraj Allah, della facoltà teologica irachena di Kufa. E proprio l'Iraq, in particolare i campi dei rifugiati, è l'obiettivo della missione che una delegazione della Congregazione per le Chiese orientali e del Pontificio Consiglio Cor Unum stanno per compiere. Al Papa hanno presentato l'iniziativa e chiesto di benedire tre immagini della Madonna che scioglie i nodi, da donare, appunto, alle persone che vivono in situazioni drammatiche.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: