martedì 2 ottobre 2012
​"Non ho avuto complici, nel modo più assoluto". È quanto ha affermato l'ex maggiordomo papale Paolo Gabriele nella deposizione del processo che lo vede accusato di furto aggravato di documenti del Pontefice.
LA SCHEDA Da gennaio a oggi, le tappe della vicenda
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Ha dichiarato di aver agito in buona fede. Di non sentirsi «colpevole di furto aggravato», quanto piuttosto «di aver tradito la fiducia» che il Papa «aveva riposto in me, e che amavo come fossi un figlio». Di non aver ricevuto soldi o altri benefici dal trafugamento dei documenti perché «questa era la condizione essenziale e iniziale nell’intessere il rapporto con questa persona» (il giornalista che poi li ha pubblicati in un libro, ndr), e di aver agito «da solo, nessun complice».Seconda udienza del processo a Paolo Gabriele, l’ex assistente di camera di Benedetto XVI sotto processo in Vaticano con l’accusa di furto aggravato per aver sottratto (e poi passato all’esterno) documenti riservati. E udienza che ha avuto il suo momento centrale proprio nell’interrogatorio dell’imputato, in una giornata che ha visto comunque anche le prime deposizioni dei testimoni, tra i quali il segretario particolare del Pontefice, monsignor Georg Gänswein.Nessun colpo di scena nella lunga teorie di domande e risposte tra il presidente della corte, Giuseppe Dalla Torre, e l’imputato, se non il racconto di una detenzione iniziale in condizioni molto dure (che ha provocato un’immediata smentita della Gendarmeria vaticana; vedi box pubblicato qui a lato). Durante l’interrogatorio Gabriele ha ammesso di essere stato «in contatto» con molte persone, e di aver cominciato a «raccogliere» documenti nel 2010, quando «è emerso il caso di monsignor Carlo Maria Viganò», mosso, in questo, dallo «sconcerto per una situazione diventata insopportabile e diffusa ad ampio raggio in Vaticano», nonché dalla «convinzione» che «è facile manipolare persone» come il Papa, che «ha un potere decisionale così enorme». Inoltre, ha aggiunto l’imputato, «sono stato suggestionato da circostanze ambientali, in particolare dalla consapevolezza di trovarmi in uno stato in cui c’erano misteri non risolti. Ho avuto molti contatti, confidenze ricevute anche dai cardinali Sardi e Comastri, dal vescovo di Carpi, monsignor Francesco Cavina» già officiale della Segreteria di Stato, «dalla signora Ingrid Stampa» (già governante del cardinale Ratzinger). Nessuna di queste persone però, ha detto in risposta a una domanda diretta, è stata in alcun modo «complice» rispetto alla sottrazione dei documenti.Se ha assicurato, come detto, di non avere chiesto o ricevuto denaro per le azioni contestategli, Gabriele non ha parlato, invece, dei doni fatti al Papa e trovati nel suo appartamento, come la pepita «apparentemente d’oro», nascosta in una scatola di scarpe, dell’assegno da 100mila euro «saltato fuori successivamente, quando sono state repertate le carte trovate», così come l’antica edizione dell’Eneide.A smentire, in parte, la deposizione di Gabriele è stato monsignor Georg Gänswein, dichiarando alla Corte che «quando sono andato con i gendarmi a visionare i documenti sequestrati a Paolo Gabriele, c’erano sia documenti originali che fotocopie, i primi originali che ho visto risalivano all’inizio della presa di servizio di Paolo Gabriele, nel 2006. Ho visto – ha aggiunto – documenti in copia e in originale del 2006, del 2007 e del 2008». Per il resto, il segretario del Papa ha ammesso di essere caduto dalle nuvole quando ha dovuto constatare che proprio Gabriele era l’autore dei furti di documenti. A "incastrarlo", in particolare, alcune carte (un appunto sul caso di Emanuela Orlandi, e le lettere di Bruno Vespa e Giovanni Bazoli poi pubblicate), che non erano mai uscite dall’ufficio che ha una porta comunicante con lo studio privato di Benedetto XVI. «A quel punto – ha detto ancora monsignor Georg – mi è sembrato che fosse corretto convocare una riunione con gli altri collaboratori dell’appartamento per informare che Gabriele era sospeso ad cautelam». Anche la memores Cristina Cernetti, che presta servizio domestico nell’appartamento papale, ha confermato che i sospetti si erano appuntati su Gabriele anche perché era l’unico che poteva aver compiuto quei furti tra i collaboratori del Papa. Ciò in quanto, come lo stesso Gabriele ha rivelato nella deposizione, «avevo una postazione stabile nella stanza dei segretari, con un tavolo e un personal computer, che utilizzavo quando non avevo altro da fare e svolgevo mansioni di ufficio, tipo fare la rassegna stampa». Nella stessa stanza, ha poi aggiunto, «stava la fotocopiatrice di cui mi sono servito, che si trovava all’angolo opposto rispetto al mio tavolo. Le fotocopie le facevo in orario di ufficio, godendo di libertà di movimento e non avendo io un fine malvagio ho fotocopiato anche in presenza di altre persone in ufficio, ma sempre in orario che comprendeva la mia presenza lì: io arrivavo all’appartamento per la santa messa delle 7 e chiudevo l’orario alle 14,30».
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