giovedì 7 aprile 2016
​Paradisi fiscali. Diversi nomi noti nella lista pubblicata dall'Espresso partendo dall'inchiesta giornalistica relativa allo studio panamense Mossack Fonseca.
Panama papers: Verdone e D'Urso si difendono
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Cresce col passare dei giorni il clamore legato al caso delle "Panama papers", le carte di Panama. Un elenco di centinaia di nomi, anche famosi, di tutto il mondo che avrebbero beni di varia natura nei paradisi fiscali. Pratica, questa, di solito legata la desiderio di occultare ricchezze al fisco della propria nazione. Tra questi nomi risultano, secondo l'Espresso on line, anche Barbara D'Urso, Carlo Verdone, Luca Cordero di Montezemolo, lo stilista Valentino. Il settimanale del Gruppo Editoriale L'Espresso, che possiede anche La Repubblica e numerosi quotidiani locali, ha annunciato sul sito la pubblicazione di questi nomi, insieme ad altri, nell'edizione in edicola venerdì 8 aprile. In un'inchiesta - spiega lo stesso settimanale -, saranno pubblicati i primi 100 nomi di italiani che compaiono nell'archivio ottenuto dall' International Consortium of Investigative Journalists (Icij). In questa lista, quindi, spiega l'Espresso, compare anche Maria Carmela D'Urso, nome all'anagrafe della presentatrice tv, che, si afferma, "risulta come 'director' della società Melrose Street Ltd, registrata nel 2006 alle isole Seychelles". Immediata la reazione di D'Urso. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera online, il suo legale ha diffidato formalmente il settimanale "dal divulgare notizie che appaiono lacunose e gravemente lesive della sua immagine", chiarendo che "la società in questione era stata aperta ai fini di un'operazione immobiliare che la D'Urso intendeva compiere all'estero; operazione che non si era poi concretizzata. La società era conseguentemente sempre rimasta inattiva, poi ufficialmente chiusa nel 2012". C'è poi anche Carlo Verdone tra gli italiani citati nell'archivio dello studio legale panamense Mossack Fonseca al centro delle rivelazioni 'Panama Papers', sempre secondo quanto scrive L'Espresso online. Secondo il settimanale il popolare attore e regista romano risulta titolare di una offshore registrata a Panama, la Athilith Real Estate. Interpellato attraverso il suo avvocato, Verdone si è detto "sorpreso di essere accostato a una società con sede a Panama", e che "non ha idea dei motivi per cui sia stata costituita". I legali di Verdono poi scrivono: "Naturalmente Carlo Verdone tutelerà la propria rispettabilità in tutte le sedi giudiziarie". Lo stilista Valentino, insieme con il suo socio Giancarlo Giammetti, è invece associato a due sigle delle Isole Vergini britanniche, la Jarra Overseas e la Paramour finance, scrive ancora il settimanale. Dal canto suo Valentino ha però fatto sapere attraverso i suoi legali di essere residente a Londra da oltre 10 anni. Luca Cordero di Montezemolo ha replicato in merito al suo coinvolgimento nel caso "Panama papers", intervendo al Consiglio di amministrazione di Unicredit: "In merito alla società panamense e al conto associati al mio nome, ho avuto modo di ricostruire, trattandosi di nove anni fa, periodo in cui ero fortemente impegnato, tra l'altro, in Confindustria, Fiat e Ferrari, che mi furono proposti dai miei consulenti finanziari di allora in vista di investimenti che non furono poi mai realizzati. Posso quindi confermare che non possiedo alcuna società off shore né alcun conto estero e, soprattutto, che non ho commesso alcun illecito". "Panama papers", le reazioni nel mondo. Panama. Il governo di Panama ha annunciato la creazione di una commissione di esperti per cercare di migliorare la trasparenza nel settore della finanza offshore del Paese: lo riporta la Bbc online. La decisione segue la pubblicazione di documenti interni dello studio di avvocati panamense Mossack Fonseca, utilizzato dai super-ricchi del pianeta per nascondere al fisco ingenti somme di denaro. "Il governo panamense, attraverso il nostro ministero degli Esteri, creerà una commissione indipendente di esperti nazionali e internazionali", ha detto in un discorso tv il presidente Juan Carlos Varela, aggiungendo che Panama lavorerà con altri Paesi sulle informazioni contenute nelle rivelazioni. Gli esperti, ha spiegato Varela, esamineranno le pratiche del settore con l'obiettivo di proporre misure che possano rafforzare la trasparenza dei sistemi finanziario e legale". Regno Unito. La rivelazione è di quelle imbarazzanti, tanto più sullo sfondo dei sospetti innescati dai cosiddetti 'Panama Papers' sul patrimonio offshore del suo defunto padre. Ma a sostenere l'accusa contro David Cameron è una fonte autorevole, il Financial Times, organo di riferimento della City: secondo il giornale, il primo ministro conservatore britannico intervenne personalmente tre anni fa in sede Ue per limitare l'impatto di norme anti-riciclaggio e anti-elusione. La vicenda risale al 2013 ed è testimoniata da una lettera (che il quotidiano inglese riferisce di aver potuto ora vedere) nella quale Cameron si rivolse all'allora presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, per invocare un alleggerimento della direttiva che mirava a sollevare il velo di riservatezza sui beneficiari di trust e fondi offshore. Alleggerimento destinato secondo il giornale a creare di fatto "possibili scappatoie", utilizzabili a parere di altri governi europei anche dagli evasori. Il Financial Times nota che sebbene Cameron si sia sempre presentato come un campione della trasparenza sul fronte delle tasse, nella lettera a Von Rompuy chiese apertamente un trattamento di favore su una norma pensata a Bruxelles per contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro, argomentando che un certo tipo di trust era usato largamente in Gran Bretagna per questioni ereditarie e non andava penalizzato oltre misura. "È importante - scriveva Cameron all'epoca - riconoscere una differenza fra aziende e trust. Ciò significa che una soluzione disegnata per colpire potenziali abusi relativi alle aziende, come i registri pubblici centrali, possa non essere appropriata a livello generale". Parole scottanti, se lette ora alla luce del sospetto che lo stesso Cameron abbia potuto magari ereditare quanto depositato nella società offshore creata a suo tempo dal padre Ian. Francia. Una delle sedi parigine della Société Générale, una delle banche francesi coinvolte nell'inchiesta dei Panama papers, è stata presa di mira questa mattina da Attac, un'associazione francese no-global. I militanti hanno bloccato le porte d'accesso alla banca sulla rue Réaumur, nel cuore della capitale, e hanno lanciato un appello affinché vengano bloccate tutte le 103 agenzie di SocGen specializzate in investimenti finanziari presenti sul territorio della République. L'associazione chiede, tra l'altro, "il divieto alle banche impiantante in Francia di proseguire le loro attività nei paradisi fiscali". La Société générale è nella 'top 5' delle banche che hanno creato il più grande numero di società offshore attraverso lo studio panamense Mossack Fonseca. L'inchiesta dei Panama Papers ha rivelato che l'istituto transalpino ha fatto immatricolare 979 strutture ripartite in Paesi come Lussemburgo, Svizzera, Bahamas e Principato di Monaco. Due milioni di euro e lingotti d'oro? "È tutto folklore". Così Jean-Marie Le Pen, ex presidente e fondatore del Front National, intervistato dal Corriere della Sera per il suo coinvolgimento nello scandalo dei Panama Papers per un presunto "tesoro" nascosto nei conti offshore. "Nego tutto in blocco", "non ho neanche una linea di difesa su questo cosiddetto scandalo di Panama. Non rispondo a insinuazioni, calunnie, pettegolezzi", dice. "Con i conti digitali si trasferiscono miliardi con un clic, ma i lingotti colpiscono di più l'immaginazione", sottolinea. "A proposito, ma non si era detto che la modernità era la libera circolazione delle persone, dei capitali?". Anche in Europa abbiamo "paradisi fiscali", prosegue, "Da Londra a Guernsey al Lussemburgo... Se ci sono dei paradisi fiscali è perché ci sono degli inferni fiscali. La Francia ne è uno, con il 46% di tasso di prelievo". "Comunque, finora la gente ha nascosto i soldi, adesso nasconderà anche se stessa. Dopo l'evasione avremo l'emigrazione fiscale". E a proposito della condanna a pagare 30mila euro di multa per le affermazioni sulle camere a gas (le ha definite "un dettaglio della Storia", ndr), Le Pen dice che "la libertà di espressione in Francia è estremamente limitata". "La volontà persecutoria è evidente", prosegue. "Sono oggetto di cinque ingiunzioni fiscali. Sono venuti qui a perquisire il mio ufficio, hanno spaccato la cassaforte, mi hanno sequestrato il computer. Poi c'è la denuncia del Parlamento europeo, che vuole 360mila euro per il mio assistente che avrebbe lavorato tre settimane su 5 anni. È un mondo in decomposizione, che se la fa addosso mentre i barbari non sono alle porte, sono già entrati".
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