mercoledì 2 ottobre 2013
A Bologna è bufera su una maestra. Il preside: «Ognuno si regola come vuole». Paolo Cavana docente di Diritto alla Lumsa: «Esistono norme di riferimento cui le amministrazioni devono sottostare».
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Niente più crocifisso sulla parete della 1° B della scuola elementare Bombicci, in centro a Bologna. «La maestra prevalente di quella classe ha chiesto di rimuoverlo perché avrebbe detto di non farsene nulla» riferisce il personale della scuola. Continua l’epurazione di ogni simbolo della religione cristiana nelle scuole di Bologna, «addirittura tutta l’elementare Armandi Avogli, dello stesso comprensivo, ne è priva» accusa Fabio Garagnani, ex parlamentare Pdl, che ha informato della rimozione il ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza e il vicedirettore regionale Stefano Versari. E forse presenterà anche un esposto in Procura. Secondo quanto riferito dall’ex parlamentare, quella croce in prima B c’era sempre stata, almeno fino a quando qualche settimana fa la nuova insegnante ha deciso di farla togliere. «Ognuno si regola come ritiene opportuno – commenta tranquillo Stefano Mari, preside dell’istituto comprensivo 8, di cui fanno parte le Bombicci –. È una scelta che dipende dalla sensibilità individuale del docente». Mica tanto. «Esiste in Italia una normativa di riferimento a cui le Pubbliche Amministrazioni si devono attenere – commenta Paolo Cavana, docente di Diritto all’università Lumsa di Roma –. Ci sono due regolamenti, uno del 1924 e l’altro del 1928, che non sono mai stati abrogati e, di conseguenza, ancora vigenti, che stabiliscono che i simboli religiosi non possono essere rimossi arbitrariamente dai luoghi pubblici». E le classi sono tali. In merito esiste anche un’ordinanza della Corte di Strasburgo del 2011 che aveva fatto riappendere il crocifisso in un’aula di una scuola media di Abano Terme (Padova), dopo che una mamma di origini finlandesi aveva chiesto di far togliere il simbolo. «Un insegnante, anche se prevalente, non ha alcun diritto di eliminare un simbolo religioso per una sua inclinazione personale – continua Cavana. – È solo un atto di prepotenza. Anche perché in quella classe ci sono degli individui che, per quanto ancora piccoli, godono dei suoi stessi diritti. Uguale discorso vale per le loro famiglie». Adesso la parola passa proprio ai familiari «e al consiglio d’istituto scolastico – continua il professore –. Se le famiglie o i bidelli o gli altri insegnanti lo chiedono, la maestra in questione non si potrà rifiutare. E tanto meno il preside dell’istituto - conclude Cavana». Anche Garagnani esprime lo stesso desiderio: «Chiedo che la legge sia rispettata e che i genitori non si facciano intimidire dalle pressioni di certi dirigenti scolastici. È un problema di libertà, oltre che di civiltà e rispetto».​
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