sabato 19 gennaio 2013
​L'arcivescovo di Reggio Calabria, Vittorio Mondello, invita le comunità a prendere le distanze dalle cosche: «Una mentalità mafiosa non si cambia solo arrestando e punendo, ma è necessario soprattutto educare la gente a formarsi con una mentalità "non mafiosa"».
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La Chiesa del Sud deve tenere i mafiosi fuori dall’organizzazione delle feste patronali. Lo ribadisce, ai microfoni di Radio Vaticana, Vittorio Mondello, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova e presidente della Conferenza episcopale calabra, in vista della visita a Limina dei vescovi calabresi, dal 21 al 24 gennaio, e dell’incontro con Benedetto XVI. Il presule, a proposito del problema delle feste religiose, spiega che «a volte sono organizzate da persone della mafia, impedendo alla comunità cristiana di viverle in modo adeguato». «Deve essere quindi l’intera comunità parrocchiale e il suo Consiglio pastorale – prosegue il presule – a programmare e a gestire le feste patronali e le processioni, senza affidare questi compiti a comitati esterni». «Per quanto riguarda il nostro impegno per contrastare la ’ndrangheta come forma di peccato, debbo dire che c’è molta disinformazione - spiega ancora l’arcivescovo Mondello -. Molti ignorano i nostri sforzi o pensano che dobbiamo sostituirci alla magistratura o alla polizia. Il nostro compito è essere segno dell’amore di Dio per l’umanità e segno di salvezza. Nostro compito è innanzitutto aiutare i mafiosi a convertirsi, magari allontanandoli dalla Chiesa se questo non avviene».«Una mentalità mafiosa non si cambia solo arrestando e punendo – aggiunge l’arcivescovo –, ma è necessario soprattutto educare la gente a formarsi con una mentalità "non mafiosa". Educare i bambini a non avere i boss-mafiosi come modelli, a non considerarli uomini di onore, ma uomini di disonore». Da anni ormai le Chiese di Calabria sono impegnate a contrastare la "non cultura" rappresentate dalle logiche e dai simboli della criminalità organizzata. Una perversione esistenziale che trova proprio nelle feste religiose uno dei suoi tradizionali punti di contatto con la società. Non solo. I boss approfittano di cortei, processioni e "incanti" per ribadire anche simbolicamente il loro controllo sul quartiere. Nelle numerose prese di posizioni assunte nell’ultimo decennio contro questo malcostume i vescovi calabresi, con interventi ufficiali e documenti, hanno stigmatizzato la consuetudine e sollecitato le comunità ecclesiali a prendere le distanze dalle cosche.
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