martedì 30 aprile 2013
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Siamo Franco e Sandra, di Milano, abbiamo 60 anni, due figlie: una di 31 anni sposata e con due figli, l’altra di 17 anni studentessa. Trent’anni fa, superando le paure, mio marito decide, insieme a un amico e collega, di mettersi in proprio dando vita ad una società di Automazione Industriale con la collaborazione delle rispettive mogli con funzioni da «impiegate» (...)L’azienda pian piano crebbe sino a diventare una holding, leader a livello europeo nel suo settore (e le mogli sono uscite dall’azienda per dissidi fra i soci, essendosene aggiunto un terzo, <+corsivo>ndr<+tondo>) (...)Sette anni fa tutto inizia a sgretolarsi, complice anche la crisi economica nella quale è entrato il nostro Paese (...) gli altri due soci, di fronte anche al calo del lavoro, hanno iniziato a litigare e a non fidarsi più l’uno dell’altro, mandando ulteriormente in crisi la società stessa fino ad arrivare all’estromissione di uno di questi: cause su cause con costi legali elevatissimi, la perdita di immagine con i fornitori e conseguente revoca dei mandati sino ad arrivare alla messa in liquidazione della società (...)Questo fallimento a noi è costato (e ancora ci costa) tantissimo, avendo firmato a suo tempo delle garanzie bancarie.  Pian piano abbiamo dovuto iniziare a vendere gli immobili per fronteggiare i creditori, ma abbiamo dovuto venderli anche perché dopo la messa in liquidazione della prima società mio marito si è rimesso in proprio occupandosi, questa volta, di energie rinnovabili e, di conseguenza, del finanziamento di questa nuova società (...)Peccato che la sorte si sia accanita con noi e la crisi economica italiana non ci ha aiutati, anzi. Nel frattempo tra il pagamento dei vari debiti, le varie cause, il finanziamento della nuova società, la famiglia che comunque deve continuare a vivere,  abbiamo dato fondo a tutto, chiedendo soldi in prestito a chiunque (e sono da restituire). Abbiamo ancora dei debiti verso una banca con interessi passivi che continuano a salire. Però ci è rimasto l’appartamento nel quale viviamo, che abbiamo già messo in vendita e che ci permetterebbe di pagare tutti i debiti e non avere più questa spada di Damocle sulla testa: peccato che dopo 8 mesi non ci siamo ancora riusciti (...)Dovremmo anche chiudere l’attuale società, visto che i 5 dipendenti sono in cassa integrazione e non percepiscono lo stipendio dal mese di ottobre scorso, ma non abbiamo nemmeno i soldi (sì perché, per assurdo, anche a chiudere le società ci vogliono soldi!!) per pagare gli stipendi arretrati e le liquidazioni (...)Come può sentirsi un uomo che fino a poco tempo fa è riuscito a sostenere più che dignitosamente la sua famiglia e che oggi, invece, è costretto a chiedere soldi in prestito per fare la spesa? (...) Dobbiamo forse rivolgerci agli usurai? Certo, abbiamo molte persone disposte a darci un piatto di minestra e per questo ringraziamo il buon Dio, ma purtroppo non basta.Chiediamo solo di poter vendere quello che ci è rimasto e ci appartiene per poter azzerare i debiti. Poi la Divina Provvidenza farà il resto. Mai perdere la speranza! (...)Certamente anche noi ci assumiamo la responsabilità dei nostri errori, ma siamo pronti a ripartire se ce ne verrà data la possibilità. Ecco perché vorremmo non morire!
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