mercoledì 8 aprile 2015
​Associazioni contrarie al Manifesto bipartisan per la regolazione della prostituzione. Ramonda (GPXXII): non si può trattare come un qualsiasi lavoro. 
Schiave e legalizzatori di Francesco Riccardi
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​Superare, 60 anni dopo, la legge Merlin. L’obiettivo è quello di regolamentare la prostituzione, con una serie di "buone intenzioni" (dalla lotta allo sfruttamento all’esigenza di tenere lontana questa pratica da scuole e luoghi di culto) e un rischio difficile da scongiurare, anche sulla scorta delle esperienze di altri Paesi: l’ulteriore impulso che la legalizzazione potrebbe portare a una pratica che in ogni caso, anche quello di libera scelta, evoca un’idea di sfruttamento del sesso a fini economici.Il Palazzo vince l’ultimo tabù, il tema fa irruzione nell’austera sala Aldo Moro di Montecitorio. Le proposte in campo, sono soprattutto due. Una, presentata alla Camera, vede come primo firmatario il presidente della commissione Affari costituzionali Pierpaolo Vargiu, di Scelta Civica, un’altra - prima firmataria Maria Spilabotte, vicepresidente della commissione Lavoro, del Pd - calendarizzata a Palazzo Madama proprio mentre a Roma il sindaco Marino lanciava la sua idea di un quartiere a luci rosse.Le proposte - 77 i firmatari in tutto con adesioni, oltre che nel Pd, anche fra M5S, Lega e Fi, ma sostegni più o meno isolati un po’ da tutti i partiti - sono ampiamente sovrapponibili e simili nei loro aspetti essenziali. L’attività viene riconosciuta «purché svolta in autonomia e libertà» e prevede una regolarizzazione a livello fiscale, contributivo e previdenziale, test sanitari obbligatori, iscrizione alla Camera di Commercio. Efe Bal, escort transessuale, ne fa anche una questione di voler «contribuire ed essere essere utili al Paese». Ma c’è chi fa notare che in Germania, dove tale iscrizione è stata resa possibile, si registra non più di una quarantina di auto-dichiarazioni. Nelle proposte in esame c’è l’obbligo di far uso del profilattico e il divieto di esercitare in luoghi aperti al pubblico se non in forma «associata o cooperativa» (una vera e propria riapertura delle case chiuse, quindi) o in aree individuate dagli enti locali «d’intesa con le associazioni di settore e i cittadini», i cosiddetti quartieri a luci rosse. Posto, naturalmente, che vi sia qualche quartiere che desideri assumere liberamente tale connotazione.Di fatto sarebbero soprattutto i Comuni gli attori protagonisti di questa regolamentazione. A partire dai proventi della tassazione, che - secondo la proposta Vargiu - sarebbero ad essi destinati per il 70 per cento, mentre il restante 30 per cento dovrebbe andare ad attività come «la repressione della tratta di esseri umani, dello sfruttamento della prostituzione e della prostituzione minorile», oltre che alla formazione di personale e al sostegno di attività di carattere socio-sanitario. Alla proposta arriva anche il sostegno del penalista Alberto Cadoppi, che si dice contrario a "proibizionismo" e "abolizionismo". «Ci sono 60 cartelli malavitosi che speculano sulla tratta», avverte Spilabotte. «Occorre una regolarizzazione del fenomeno se lo si vuol sottrarre al controllo malavitoso - spiega Vargiu -. Che non significa incentivarlo. Un po’ come è avvenuto per il gioco». Nel quale, a onor del vero, l’intervento dello Stato non ha portato né al superamento dei condizionamenti malavitosi né al contenimento del fenomeno. Anzi.Al convegno - in cui risuona come tristemente grottesco un riferimento sugli introiti che potrebbe generare l’«indotto» dell’Expo - è tutt’un distinguere fra «peccato e reato». Con maggiore realismo tocca a Stefano D’Ambruoso, questore della Camera, frenare: «Non è detto che regolarizzare non porti a sfruttamenti ancora maggiori». E propone misure per scoraggiare i clienti, «a partire dal sequestro dell’auto».Si oppongono però le organizzazioni che da sempre si occupano di prostituzione. Giovanni Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha contestato il "Manifesto" dei 70 parlamentari, che "vorrebbero trattare la prostituzione come una qualsiasi attività lavorativa, da gestire con partita Iva in case private o in aree protette". "Per sconfiggere lo sfruttamento di donne e ragazzine ai fini di prostituzione servono misure di contrasto più efficaci, non certo la regolamentazione o lo zoning", ha aggiunto Ramonda, osservando che "I Paesi europei che hanno tentato la via della regolamentazione si trovano ora sia con la prostituzione legalizzata che con quella illegale. Inoltre è noto che sono le organizzazioni criminali a fornire la manodopera anche per la prostituzione legalizzata. Al contrario paesi come la Svezia e la Norvegia, che vietano l'acquisto di prestazioni sessuali, hanno ottenuto importanti risultati". La strada risolutiva, conclude Ramonda, è «introdurre anche in Italia il cosiddetto modello nordico. C'è già una proposta di legge depositata in Parlamento.Invitiamo i parlamentari ad unire le forze per riconoscere la piena dignità della persona umana, che non può mai essere oggetto di compravendita". Giunge a proposito l'editoriale di monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, sul mensile Migranti-Press dal titolo "Case chiuse o protezione sociale?". " Il ritorno al dibattito, con anche referendum popolari e sondaggi, sulla opportunità o meno della riapertura delle case chiuse o della nascita di cooperative di ‘lavoratrici del sesso’, spesso dimentica il percorso storico e sociale che ha portato alla loro chiusura e le persone oggi coinvolte”, scrive Perego. 100mila vittime della tratta per scopi sessualiLe vittime di tratta per scopi sessuali giunte sul territorio italiano tra il 2000 e il 2013 sono stimate in circa 100mila. Oltre 80mila hanno raggiunto in qualche modo i servizi sociali, legali, sanitari presenti sul territorio. Attualmente presenti sul territorio sono stimate circa 30-35mila donne prostituite secondo alcuni, 20-40mila secondo altri. Metà di queste - spiega mons. Perego - è “ancora sulla strada, l’altra metà ormai ha scelto come luoghi di incontro la casa, il pub, il giardino, il night, i centri massaggi, e come strumenti di appuntamento il telefono, internet. Sessantuno sono i Paesi di origine delle oltre 10mila persone vittime di tratta, nel 99,9% donne, che hanno beneficiato dei permessi di soggiorno per protezione sociale in Italia. La stragrande maggioranza delle donne, però, pari all’80% - aggiunge - proviene da cinque nazioni: Nigeria, Romania, Cina, Albania e Ucraina”. Il ritorno della regolamentazione della prostituzione “segna - spiega il direttore Migrantes - la sconfitta di una lunga battaglia di cinquant’anni, con protagonisti di diversa cultura sociale e politica che avevano portato la lotta della prostituzione da una parte dentro i percorsi del femminismo, dell’educazione agli affetti, della protezione sociale, della responsabilità personale e della cittadinanza responsabile, abrogando ogni regolamentazione, per concentrarsi poi in una lotta comune - forze dell’ordine, scuola, associazionismo, cooperazione - contro ogni forma di sfruttamento della donna e dei minori, sul piano nazionale e internazionale, con una sensibilità anche nella modifica delle strutture di polizia, con la nascita del corpo di polizia femminile. Una politica che governi la prostituzione oggi non può che ripartire dalla protezione sociale, dalla lotta a ogni forma di sfruttamento oggi aperto a molti canali (strada, casa, luoghi di spettacolo, luoghi di turismo, televisione, internet…), dal rafforzamento di progetti di cooperazione internazionale e decentrata, con nuovi operatori sociali, investendo in percorsi di educazione e di informazione, di tutela della salute, guardando - conclude monsignor Perego - sia alla vittima che al cliente più con un ottica di promozione della persona, come vogliono la Costituzione italiana e la Dichiarazione dei diritti umani, e dell’accompagnamento sociale”.
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