martedì 3 febbraio 2015
Da aprile i dottori di famiglia potranno prescriverla.
EDITORIALE Troppo fumo attorno a un «farmaco» di Carlo Bellieni
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Inizierà ad aprile la prescrizione della cannabis ad uso terapeutico da parte dei medici di famiglia in Toscana. L’annuncio lo ha dato ieri dal suo profilo Facebook il governatore della Toscana Enrico Rossi. Nello stesso post ha precisato che entro l’anno inizierà anche la coltivazione di cannabis ad uso terapeutico allo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Un passaggio previsto nell’accordo tra i ministeri della Sanità e della Difesa sottoscritto a settembre 2014. Questo istituto, infatti, oltre a produrre farmaci per le forze armate è impegnato nella produzione di farmaci orfani o difficilmente reperibili sul mercato.I medicinali derivati dalla cannabis, come il Bedrocan, oggi vengono importati dall’estero, soprattutto dall’Olanda, con costi molto alti per quelle aziende sanitarie (come succede ad esempio in alcune realtà della Puglia) che danno l’ok al ritiro. Pochi grammi, infatti, possono arrivare a costare ance 1.000 euro.La Toscana è stata la prima regione a dotarsi di una legislazione ad hoc nel 2012. In questa era già distinto l’aspetto di prescrizione ospedaliera da quello della medicina di base. Nel primo caso si presupponeva la necessità di seguire il paziente nella somministrazione del farmaco. Nel secondo le Unità sanitarie locali supportano i malati nell’ottenimento del medicinale. Ma al di là dell’annuncio che cosa effettivamente si sa sull’uso e l’efficacia dei derivati da cannabis? Riduzione degli effetti di nausea e vomito nel corso di terapie, controllo della spasticità, diminuzione del dolore. La letteratura scientifica negli ultimi anni è cresciuta in modo significativo, ma non ha prodotto ancora evidenze definitve. Prendiamo uno studio pubblicato su Jama a ottobre 2014: si tratta di una cosiddetta revisione (quegli studi che vanno a riprendere dati già pubblicati in diversi momenti su un unico tema e li riaggiornano) che riguarda quegli Stati americiani in cui esiste una legislazione sull’utilizzo della cannabis medica. In questi emerge un calo della mortalità da uso di oppioidi analgesici. Ma la conclusione degli esperti è che ci vogliono analisi più dettagliate per capire se effettivamente si tratta di una correlazione o è semplice coincidenza.«Ci sono infatti delle aree della medicina in cui la cannabis è stata studiata – ammette Adriana Turriziani, professore all’Università Cattolica del Sacro cuore e responsabile dell’Hospice Villa Speranza del Policlinico Gemelli di Roma –. I risultati più significativi riguardano i malati di Sla». Ma a garanzia dei pazienti la scienziata chiede «maggiori evidenze scientifiche» soprattutto nel «dolore cronico refrattario alle terapie convenzionali». Perché «potendo disporre di una molecola tradizionale testata secondo la regolamentazione farmaceutica, che ne ha provato efficacia e sicurezza, ed un medicinale su cui ancora dobbiamo sapere molto, io scelgo la prima».
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