venerdì 14 settembre 2012
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I 37 miliardi e mezzo di denaro investito nel gioco d’azzardo (legale) nei primi cinque mesi del 2012, con un aumento del 25% rispetto al 2011 (circa 1.000 euro a famiglia all’anno, l’1,86% del consumi delle famiglie), e con un ritorno ai giocatori sotto forma di vincite tra il 70 e l’80%, non sono poca cosa. E non sono pochi i circa dieci miliardi di entrate per lo Stato e i tanti occupati del comparto (20mila della filiera diretta e 80mila di quella indiretta). Ma i flussi economici e i loro risvolti vantaggiosi non devono nascondere o far dimenticare i problemi sociali e psicologici legati a questa attività.
Innanzitutto, va sottolineato che non tutti i giochi sono uguali. Secondo la definizione anglo-sassone, esistono giochi “skill”, centrati cioè su abilità e competenze reali, che si sfidano tra loro su di una base di lealtà ed impegno fattivo, e i giochi “luck”, centrati esclusivamente sul caso e sulla fortuna. Il giro di danaro legato ai giochi è attualmente per l’80% di tipo “luck” (scommesse, giochi online), con una forte componente quindi di azzardo e di rischio, che prevale in maniera netta sugli altri aspetti della dimensione ludica più genuina della competizione.
In secondo luogo si stima una presenza forte e in crescita di ludopatia, cioè di comportamenti compulsivi e ossessivi, «ripetuti in maniera incessante seguendo uno schematismo mentale indotto, una sorta di necessità subliminale» (come si legge nelle definizioni ufficiali). Si tratterebbe in Italia, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, di un milione e mezzo di persone, pari al 6% del totale dei giocatori. Tanto che cominciano a essere sempre più presenti, nei centri di trattamento sanitario per le dipendenze, le vittime di questa patologia, che impedisce di condurre una vita normale e dissipa le risorse. Quanto basta per rendersi conto dei rischi di tale «attività ludica di tempo libero», amplificata oggi a dismisura dalle possibilità offerte dalla rete internet. E per sentire l’obbligo di capire meglio le caratteristiche di coloro che vi incorrono.
Un’indagine condotta da Censis Servizi ha rilevato tra i giocatori d’azzardo del settore “luck” un presenza prevalente di persone anziane uscite dalla vita attiva e di donne sole, e già questo indica una delle origini più importanti della ludopatia (come peraltro delle altre dipendenze), data dalla solitudine e dalla depressione da isolamento e carenza di relazioni umane significative. Accanto a ciò si rileva anche una componente di familiarità, presente peraltro nella maggior parte delle patologie, la maggiore frequenza cioè in determinate famiglie piuttosto che in altre di simili comportamenti. In questo caso sembra esistere una sorta di predisposizione alla dipendenza e alla compulsività, che trova poi sfogo e applicazione in uno dei possibili campi (dall’alcol, alle droghe, al gioco). Al tempo stesso, o forse proprio per questo, l’unico vero soggetto che in molti casi riesce a farsi carico dei problemi e dei rischi del giocatore ludopatico risulta essere la famiglia.
Nel caso del gioco compulsivo assume una importanza centrale la ripetitività, e quindi vengono particolarmente apprezzati i giochi che permettono la reiterazione frequente, a distanza di poco tempo nella stessa giornata (slot, gratta e vinci, win for life). Alla base di tutto, infine, si registra una motivazione al guadagno facile, come scorciatoia per un successo ambito e non raggiunto, un quadro valoriale abbastanza diffuso nelle società moderne ad alto impatto economico-finanziario, che fa temere in una futura ulteriore crescita del problema.
Una realtà fortemente ambigua, che comprende sia aspetti economici positivi, di vantaggio erariale e occupazionale, da un lato, che aspetti patologici negativi, di disagio psicologico, danno economico a carico di soggetti deboli, rischi giudiziari, dall’altro. Una situazione che richiede una politica di prevenzione dei rischi e del danno ben strutturata, da dispiegare specie nell’area Web, più che interventi di tipo organizzativo e logistico, del tipo della distanza delle sale da gioco dalle scuole.
I fattori socio-psicologici che stanno alla base delle dipendenze e dei comportamenti compulsivi e a rischio vanno aggrediti soprattutto con azioni di prevenzione socio-psicologica, appunto, e quindi di tipo formativo, sia dal punto di vista della formazione del carattere e dei riferimenti valoriali, che da quello della formazione della cultura di base e delle competenze e conoscenze. Come avviene ad esempio nel progetto Disco-Bull, coordinato da un pull di soggetti di formazione e sviluppo sociale (Censis, Iprs, Enaip) ed attivo in 9 scuole secondarie di alcune delle zone maggiormente a rischio di dispersione scolastica del nostro sud, che prevede la presenza di operatori specializzati nei due campi in appositi spazi all’interno degli edifici scolastici.
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