martedì 30 giugno 2015
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Di «dati clamorosi» parla il sociologo Giancarlo Rovati, curatore dell’indagine (edita da Vita e Pensiero), con «una Italia e una Grecia che, quanto a percezione di deprivazione, provano gli stessi sentimenti». Ma anche con l’efficienza straordinaria di 17mila enti di solidarietà.Un vero faro nella notte.I numeri dicono che senza di loro avremmo i poveri a ogni angolo di strada. Ma occhio ad aiutare chi aiuta: su un campione dei 223 enti più forti, il 37% da un biennio evidenzia grosse difficoltà per due motivi, diminuzione delle donazioni europee e aumento dei poveri. Se lasciamo che la rete di carità si indebolisca, presto avremo grossi problemi. Consideri che l’Agea, agenzia che eroga le eccedenze alimentari, è passata da 40mila a 20mila tonnellate di aiuti nel 2014.Gli aiuti sono necessari, ma non risolutivi. Che cosa è urgente fare, inoltre?Introdurre un reddito di sostegno ai più poveri, altrimenti con tutti gli aiuti non si invertiranno le tendenze. Ma questo è nelle mani della politica. Non suona utopistico?Ci sono misure, già presentate al ministro del Lavoro, che identificano condizioni di fattibilità graduali, come quelle proposte da "Alleanza contro la povertà", cartello di associazioni coordinate dalle Acli.Colpisce la Spagna: l’impossibilità di permettersi un’alimentazione equilibrata lì è al 3,5%, contro il 14% italiano.La ricerca rileva che stiamo perdendo terreno rispetto all’Unione Europea, dove altri Paesi che pure sono in difficoltà hanno saputo reagire. La Spagna è un esempio illuminante. Noi ancora facciamo parte dell’altra Europa, quella che fatica a identificare le leve per una controtendenza. Non è invece azzardato il paragone con la Grecia?Naturalmente regge solo per quanto riguarda la percezione della povertà alimentare da parte della gente. Noi siamo tra i sette Paesi più industrializzati, nulla a che vedere con la Grecia. Però tante cose giocano a nostro sfavore, ad esempio l’aspetto demografico: sono appena tornato dalla Polonia e lì la classe dirigente è tutta molto giovane, mentre i nostri ragazzi migliori emigrano tutti all’estero. Allora cogliamo l’esempio della Spagna come incentivo e segno di speranza: come ce l’hanno fatta loro a invertire le sorti, perché non possiamo anche noi?
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