giovedì 5 novembre 2015
Parla l’ex mafioso, oggi collaboratore, Santino Di Matteo: «Prego per rendere più vero il cammino verso Gesù». La conversione, le notti a pregare e a pensare al figlio Giuseppe, sciolto nell’acido da Brusca nel 1996. (Arturo Celletti)
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«Giovanni Falcone diceva che ogni cosa ha un inizio e una fine. Il mio inizio è stato il buio. Ho ucciso guardando chi stavo uccidendo. Ho vissuto nel dolore e nella morte. Ma la mia fine sarà la luce. Prego perché sia la luce. Prego per rendere sempre più vero, profondo, maturo questo mio cammino verso Gesù Cristo». Wikipedia racconta Santino Di Matteo con sei parole: "criminale e ora collaboratore di giustizia". Si sofferma sulle vicende di mafia. Sui dieci omicidi. Sui processi. Sul carcere. Ma non entra nella nuova vita di un uomo stanco, ma sereno. Lo incontriamo in una villa sulla Giustiniana alla periferia nord di Roma: ieri residenza dorata di un boss della Magliana, oggi rifugio per una ventina di uomini sfortunati a cui don Antonio Coluccia, un giovane sacerdote vocazionista, prova a restituire una vita. C’è un silenzio bello mentre camminiamo lungo il viale che porta alla casa. C’è un grande crocifisso in legno e una statua di Maria con le braccia aperte e con il volto sorridente. Sul portone è attaccata una foto di papa Francesco e sotto i dieci comandamenti scritti a penna su un foglio bianco da don Antonio. Santino (ma oggi è tornato per quasi tutti Mario, il suo nome di battesimo) ci guida nella visita. Ci parla di questa comunità, l’Opera di san Giustino e del coraggio di un sacerdote schivo. Attraversiamo il salone. In fondo c’è un dipinto: un bambino in tenuta da fantino. «Era sempre vestito così Giuseppe. Anche quel 23 novembre del 1993 quando venne sequestrato da mafiosi in divisa da poliziotti pronti a tutto pur di impedirmi di collaborare con lo Stato...». È una storia triste e nota. Giuseppe, il figlio di Santino, venne tenuto in ostaggio fino all’11 gennaio del 1996. Poi venne strangolato ed il corpo fu sciolto nell’acido.Fu Giovanni Brusca a dare l’ordine: alliberativi du cagnuledduOgni notte penso al mio piccolo, a quando ci incontreremo di nuovo. Certo lui è in Paradiso, io devo lavorare sodo per raggiungerlo. Ma Dio sa perdonare. Mi parla. Mi dice: «Mario continua su questa strada, incontrerai Giuseppe».E lei perdonerà mai Brusca?No, non posso perdonare. Non ce la faccio. Brusca non è una persona, non ha nulla di umano. Io dico solo: «Padre buono perdonalo tu, io non ho questa forza». Lei è stato mafioso come Brusca, ha ucciso come Brusca.Era una guerra di mafia: io uccido te o tu uccidi me. Terribile, terribile, terribile. Ma i bambini no. Mai. Anzi le racconto un episodio. Era una mattina di tanti anni fa e io e Brusca eravamo a Camporeale per uccidere. Io guidavo l’auto, lui era al mio fianco con un fucile tra le mani. Arriviamo. Brusca sta per scendere e io vedo che la persona da uccidere ha in braccio il nipotino... Ho guardato Brusca: «No, torniamo un’altra volta, oggi non si spara». Ci penso la notte. Penso a quella volta che ho fermato il male e alle troppe volte che il male l’ho fatto. Nelle mie preghiere così strampalate mi rivolgo direttamente a Lui: «Perché Tu che tutto puoi non mi hai fatto cadere la pistola dalle mani? Perché non mi hai fermato?»Non mi convince l’idea che ci sia una mafia diversa da un’altra mafia. Una meno spietata di un’altra.Non voglio convincerla: ho sbagliato e ho pagato. Ma ora non mi basta più essere collaboratore di giustizia, non mi basta più raccontare e accusare. Voglio che altri si pentano come me, che collaborino come me. «Mafiosi collaborate, passate dal buio alla luce; fate come me, una volta e per sempre», è questa la mia preghiera laica. «Mafiosi fidatevi dello Stato». Avevo un peso che non mi faceva vivere, ora non c’è più.Che vuol dire per lei fidarsi?Conosco da vent’anni gli attuali capi della procura di Roma Giuseppe Pignatone e di quella di Palermo Francesco Lo Voi. Fanno da sempre guerra alla mafia con la testa e con il cuore. Sono persone perbene, sono magistrati veri. Ma c’è un però. Bisogna fare tutti un salto in avanti per eliminare i pregiudizi: i collaboratori di giustizia devono essere aiutati a reinserirsi pienamente nella società. È uno sbaglio drammatico pensare di sfruttarli e di buttarli via. Il collaboratore deve vedere un percorso che porta a una piena riabilitazione. E tu, Stato, devi aiutarlo a sentirsi come un qualsiasi altro uomo. Né più né meno. Un uomo con i suoi terribili errori, ma anche con la sua voglia di riscatto. Lei si sente riabilitato?Ho una mia vita. Una compagna. Ho un figlio che mi ha dato due nipotine. Sono la mia consolazione. Sogno per loro una vita bella. Lo studio, gli amici, una vacanza d’estate. La bellezza della normalità. Una si chiama Francesca, è la copia di Giuseppe. È Giuseppe in persona. Anche lei ama gli animali; chissà magari farà il veterinario.Lei ha paura?No, avevo paura prima, quando stavo dall’altra parte. Ora no. Ora non più. Ora provo a camminare verso la luce. Don Antonio spesso mi interroga come sa fare solo lui: «Mario come facevi a stare dall’altra parte?». Io sorrido e per qualche istante sono felice: «Non ne parliamo più, oggi voglio stare solo con Gesù Cristo».La mafia è in ginocchio?Sì, è in ginocchio. Perché c’è un risveglio delle coscienze, perché non c’è più paura di denunciare. Ha visto cosa è successo a Bagheria? La società ha avuto coraggio, ha alzato la testa, ha detto no al pizzo, ha dato un colpo duro a "cosa nostra". Lo Stato vincerà; prenderà Messina Denaro e prenderà la sua cerchia che continua a raccogliere soldi. Oggi la mafia vive solo perché fa soldi. Racket, droga, estorsioni, pizzo, edilizia, usano persino il mercato del pesce per fare soldi. Ma se lo Stato aggredisce la mafia attaccando le casseforti vince la partita.Sono passate due ore e c’è ancora sole. I ragazzi della comunità lavorano in silenzio. Un gruppo prepara uno striscione in vista della Marcia per la Terra di domenica mattina al Colosseo. Ci sarà don Antonio, ci saranno gli "invisibili" dell’Opera di San Giustino. Con la loro voglia di camminare insieme per un mondo capace di liberarsi dall’inquinamento del creato e delle anime. Porteranno uno striscione con una scritta che deve far pensare: «Fino a quando ci sarà corruzione non ci sarà mai pace». E ci sarà Mario Di Matteo. «Marcerò per Giuseppe. E per tutti i giovani che non devono farsi sedurre dalla mafia. La mafia non è potere, è solo morte». Lasciamo la comunità e passiamo davanti a un’altra foto di papa Francesco. Santino la guarda e noi guardiamo Santino guardarla. «Francesco ha saputo abbracciare un mondo disperato. Con umiltà. Con la forza del perdono. Voglio tanto abbracciarlo e piangere con lui».
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