martedì 21 aprile 2015
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Anche se non si può affidare la soluzione dei problemi «alla sola risposta militare», «è lecito arrestare l’aggressione attraverso l’azione multilaterale e con l’uso proporzionato della forza». Di fronte alla situazione sempre più drammatica del Vicino Oriente, messo a ferro e fuoco dall’Is, e con tragiche ripercussioni anche sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo, così risponde l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, a una precisa domanda di Avvenire. In questa intervista il “ministro degli Esteri” del Vaticano spiega la posizione della Santa Sede e sottolinea che per fermare lo “Stato islamico” «sembra opportuno che gli Stati della regione siano direttamente coinvolti».Monsignor Gallagher, che cosa intende il Papa quando invita la Comunità internazionale a non volgere lo sguardo da un’altra parte rispetto alle persecuzioni dei cristiani?Nel recente Messaggio Urbi et Orbi il Santo Padre ha fatto un nuovo appello alla Comunità internazionale affinché non rimanga inerte di fronte all’immensa tragedia umanitaria che interessa la Siria e l’Iraq. Ed è vero, sono deludenti le contraddizioni e perfino il silenzio della Comunità internazionale nei conflitti del Medio Oriente, dove la crisi umanitaria si aggrava ogni giorno. Come si può essere ciechi o sordi di fronte a questa sofferenza? La Comunità internazionale non può rimanere inerte o indifferente a questo dramma umanitario. Di fronte alle sfide che si presentano, essa deve andare alla radice dei problemi e cercare di favorire un avvenire di pace e di sviluppo per la regione, mettendo al centro il bene della persona e il bene comune, senza pensare agli interessi particolari o a meschine motivazioni economiche.Nell’agosto scorso, il Papa disse che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, ma che non può essere una sola nazione a farlo, quanto piuttosto l’Onu. È ipotizzabile un intervento armato sotto l’egida delle Nazione Unite, sull’esempio dell’ingerenza umanitaria invocata a suo tempo da Giovanni Paolo II per la Bosnia Erzegovina?Prima di tutto vorrei sottolineare che non si può affidare la risoluzione di un conflitto, di qualunque tipo sia, alla sola risposta militare. La via della violenza porta solo alla distruzione. Il primo passo urgente per il bene della popolazione della Siria, dell’Iraq, e di tutto il Medio Oriente è quello di deporre le armi e di dialogare e approfondire le cause che sono all’origine dei conflitti e che vengono poi sfruttate dall’ideologia fondamentalista. D’altra parte, come Lei ha ricordato, il Santo Padre ha affermato che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale. Al riguardo, l’intervento del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, all’Assemblea Generale dell’Onu, il 29 settembre 2014, è stato molto chiaro e preciso. In questo momento non possiamo parlare dell’azione militare di uno Stato in risposta a quella di un altro, perché le nuove forme di terrorismo sono “transnazionali”, cioè riguardano i territori di diversi Stati. È lecito arrestare l’aggressione attraverso l’azione multilaterale e con l’uso proporzionato della forza. Sarà responsabilità della Comunità internazionale riflettere sui mezzi migliori per fermare ogni aggressione ed evitare il perpetrarsi di ingiustizie nuove e ancor più gravi. Nel caso specifico delle violazioni e degli abusi commessi dal cosiddetto “Stato islamico” sembra opportuno che gli Stati della regione siano direttamente coinvolti, assieme al resto della Comunità internazionale, nelle azioni da intraprendere con la consapevolezza che non si tratta di proteggere l’una o l’altra comunità religiosa o l’uno o l’altro gruppo etnico, ma delle persone che sono parte dell’unica famiglia umana e i cui diritti fondamentali sono sistematicamente violati.Ma è ancora l’ora della diplomazia, visto che la sua azione si è dimostrata fin qui quasi del tutto impotente?Non condivido l’idea che la diplomazia si sia dimostrata del tutto impotente. Direi che non sono stati ancora messi in gioco tutti gli strumenti e la volontà per dialogare e fermare la violenza. E questo è grave. La pace è un bene prezioso e insostituibile e la diplomazia ci offre tante strade valide per raggiungerla, sempre che ci si voglia arrivare. Il fenomeno del terrorismo si presenta come una sfida alla diplomazia. Il Diritto internazionale deve continuare a dotarsi di istituti giuridici e strumenti normativi in grado di poter sconfinarlo. È importante perciò che vi sia un’unità d’azione per il bene comune, come il Papa ha scritto lo scorso 9 agosto al Segretario Generale delle Nazione Unite.In questo contesto che ruolo possono giocare i leader musulmani responsabili?Tutti i leader religiosi, non soltanto i musulmani, sono coinvolti in questa drammatica situazione e sono chiamati a svolgere un ruolo di vitale importanza per lottare contro il fondamentalismo, favorire il dialogo interreligioso e interculturale e l’educazione alla reciproca comprensione. La religione non si può strumentalizzare per giustificare la violenza. Tuttavia, dato che alcuni di questi gruppi terroristici si appellano all’Islam per giustificare il loro operato, è chiaro che i leader musulmani hanno una importante responsabilità nello sconfessare e nel condannare senza alcuna ambiguità le pretese del cosiddetto “Stato islamico” e le atrocità commesse alle persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa. Ci sono state espressioni di solidarietà da parte di alcuni leader musulmani e responsabili politici islamici, che hanno condannato l’operato dell’Is e mostrato vicinanza e solidarietà con i cristiani e altri gruppi. Occorre pertanto un impegno comune dei leader religiosi nel condannare i crimini e far sì che non si usi la religione come pretesto per giustificarli.Il Papa ha più volte condannato il commercio delle armi che alimenta le guerre. Come giudica la posizione di quegli Stati che, pur non intervenendo, riforniscono di armi gli attuali antagonisti dell’Is?Chi traffica in armi e alimenta la guerra è un terrorista e un criminale, ha detto giustamente il Santo Padre. Tale delicata e gravissima situazione deve essere affrontata dalla Comunità internazionale, che ha l’obbligo di cercare di eliminare il più possibile questo business immorale e disumano, anche con l’imposizione di sanzioni economiche agli Stati coinvolti. Per quanto riguarda il cosiddetto “Stato Islamico”, le sue attività terroristiche vengono anche finanziate da un più o meno evidente appoggio politico e dal commercio illegale di petrolio o dalla vendita di oggetti d’arte e dal sequestro delle persone. Qui, ripeto, la Comunità internazionale dovrebbe agire con più prontezza e fermezza.
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