martedì 27 settembre 2011
Ogni anno sono centinaia di migliaia le donne che hanno problemi di fertilità per patologie oncologiche. Il cancro al seno è spesso difficile da trattare, e anche la stimolazione ovarica è un rischio.
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Un altro successo delle tecniche di procreazione assistita dà nuove speranze di diventare madri a migliaia di donne che superano il tumore al seno e cure che spesso rendono sterili. L’ha reso noto Eleonora Porcu, responsabile del Centro di cura della steriltà all’ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, al congresso della Società italiana di ginecologia e ostetricia a Palermo. A rendere possibile la gravidanza in una donna che si era dovuta sottoporre a terapie contro il cancro al seno è stato il congelamento degli ovociti, che le erano state prelevati prima di sottoporsi alla chemioterapia. «Il tumore al seno – sottolinea Eleonora Porcu – è il più diffuso nel sesso femminile, e coinvolge profondamente la donna sia fisicamente sia emotivamente. È un tumore spesso difficile da trattare, e poiché è ormono-dipendente rende anche difficile procedere alla stimolazione ovarica. Infatti abbiamo usato una sostanza particolare per ridurla». Il caso riguarda una donna, Alberta, ora di 37 anni, che vive in provincia di Bologna e che alla fine del 2008 scoprì di essere malata di tumore al seno. Il suo oncologo le consigliò – proprio in vista di una possibile gravidanza – di rivolgersi al Centro del Sant’Orsola, coordinato da Stefano Venturoli, che vanta un’esperienza forse unica al mondo in tema di congelamento degli ovociti. Una tecnica che, avviata in Australia negli anni Ottanta, era stata però lasciata in disparte in favore del congelamento degli embrioni. Proprio il Centro di Bologna, sin dagli anni Novanta, aveva intensificato gli studi in materia, ottenendo la nascita di una bambina nel 1997. «Prima di iniziare la chemio – racconta Eleonora Porcu – voleva sottoporsi alla crioconservazione degli ovociti. Qualche mese fa è tornata. La terapia aveva avuto successo e secondo gli oncologi poteva provare ad avere un figlio». Iniziava quindi la seconda fase della terapia, perché dopo la chemio può diventare molto difficile concepire naturalmente: «Scongelammo quattro ovociti – continua Eleonora Porcu – e ottenemmo tre embrioni che trasferimmo nel grembo della mamma. Dopo 12 giorni gli esami rivelarono che uno di questi stava crescendo. La gravidanza era in corso. Mamma e papà sono felici». Ora è al terzo mese e sta procedendo regolarmente. «Alberta è la prima donna in Italia – aggiunge Porcu – che dopo una chemioterapia antitumorale riesce a concepire un figlio grazie alla tecnica del congelamento degli ovuli». Analogo primato era stato ottenuto dal Centro di cura della sterilità del Sant’Orsola di Bologna nel 2007, quando una donna aveva partorito due gemelle dopo essere stata sottoposta ad asportazione delle ovaie in seguito a un carcinoma ovarico. Prima dell’intervento, infatti, era stata sottoposta a prelievo e congelamento degli ovociti. Ogni anno, aggiunge Eleonora Porcu, sono centinaia di migliaia le donne che hanno problemi di fertilità a causa del cancro. In Italia si stima che il problema riguardi dal 40 al 70% delle donne sottoposte a chemioterapia: secondo Porcu, per il solo tumore al seno tra le 15mila e le 26mile donne l’anno. A differenza del congelamento degli embrioni, spiega la ricercatrice, il congelamento degli ovociti è consentito dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita e ha il vantaggio di poter essere praticato preventivamente, anche in assenza di un candidato papà, in attesa del momento e della persona giusti. «Purché siano disponibili almeno due settimane prima dell’inizio della chemioterapia – commenta Porcu – la crioconservazione degli ovuli può essere considerata un modo ideale per preservare la fertilità nelle pazienti con cancro al seno».
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