giovedì 3 gennaio 2013
Strappo all’ospedale di Padova per una coppia di lesbiche. Fa discutere l’invenzione del primario di maternità che, per genitori e neonato, ha deciso la nuova dizione sul braccialetto.
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Un bracciale che rappresenta un cambio di civiltà. A questo bracciale plaude un amministratore come Alessandro Zan, assessore comunale a Padova. E per lo stesso invece s’indigna un dirigente del Movimento per la vita come Ubaldo Camilotti, anche lui di Padova. Siamo nella clinica ostetrica dell’Università di Padova. Nei mesi scorsi - ma la notizia si è piazzata alla ribalta solo in queste ore - l’azienda ospedaliera di Padova ha autorizzato che la dicitura di "padre" venisse sostituita da quella di "partner" in uno dei tre bracciali che vengono consegnati al neonato e ai suoi genitori per facilitare l’identificazione e la fruizione dei servizi. Una "madre", e fin qui nessuno obietta, dà alla luce il figlio. Il padre? Il personale della maternità non lo trova e viene poi a sapere che la mamma del piccolo ha una compagna. La quale, evidentemente, non ha la paternità del figliolo. Ce l’ha uno sconosciuto che ha messo a disposizione il seme. Un procedimento avvenuto con ogni probabilità all’estero, perché vietato dalla legislazione italiana. Al momento della nascita, la donna che si accompagna alla madre ha firmato il registro dell’atto di nascita che in ospedale era stato sottoposto alla genitrice, ma ha rifiutato di ricevere il "braccialetto del papà". Imbarazzo dei medici e in particolare del direttore della clinica, Giovanni Battista Nardelli. Come e dove è stato concepito quel bambino? Nessuna legge impone un accertamento simile. Ecco allora la trovata. La dizione "papà" viene sostituita con quella più generica di "partner". Il motivo? La variazione sarebbe stata decisa per venire incontro ai casi di fecondazione assistita, probabilmente portate a termine all’estero, che coinvolgono coppie di fatto omosessuali. Sorpresa da parte del professor Nardelli per il clamore derivante dalla sua scelta? Nessuna. Anzi. «Ormai – spiega – non si può più ragionare in modo tradizionale, abbiamo preso questa decisione per non offendere la sensibilità di nessuno». Forte e amara, invece, la sorpresa di chi tutela vita e famiglia all’unisono. «La decisione della direzione dell’azienda ospedaliera e il professor Nardelli in particolare sono proprio incomprensibili», mette le mani avanti Ubaldo Camilotti del Movimento per la vita patavino. «Con questa concessione, apparentemente banale, alimentano aspettative per diritti inesistenti. Alla compagna della madre del bimbo poteva essere autorizzata la visita in clinica senza arrivare ad un trucco così meschino. E non capiamo neppure la firma del registro: in veste di chi?». «Sono davvero i grandi passi avanti che sa fare una società civile e laica», esulta, per contro, l’assessore comunale Zan, colui che si è molto battuto per l’anagrafe delle coppie di fatto. E che si augura provvedimenti conseguenti da parte del prossimo Parlamento. «Zan e quanti altri la pensano come lui – replica Camilotti – possono augurarsi tutto ciò che vogliono, sta di fatto che non solo la natura ma anche la Costituzione prevede che un bimbo nasca da un uomo e da una donna e che possa avere un padre e una madre. Non due madri. E questo con tutto il rispetto che dobbiamo portare ai gay». Il dirigente ricorda ancora una volta, proprio in un contesto in evoluzione (o involuzione) come quello di Padova, che avere un figlio "comunque" non è un diritto. E che questo "diritto" non può arrivare da un escamotage come quello ricercato nell’autorevole clinica patavina. La fettuccina di "partner", infatti, è stata la prima, ma – da quanto si apprende nell’azienda ospedaliera – non sarà l’ultima.​
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