martedì 3 novembre 2015
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Non è la prima volta che la magistratura dello Stato della Città del Vaticano si deve occupare di fuga di documenti riservati della Santa Sede. Questa volta l’accusa rivolta ai due arrestati, il monsignore spagnolo Lucio Angel Vallejo Balda e l’italiana Francesca Chaouqui, è di aver divulgato le carte della Commissione pontificia (Cosea) in cui erano stati chiamati a lavorare nel 2013. Il precedente è invece quello dell’aiutante di camera Paolo Gabriele che sottrasse e in parte divulgò una quantità impressionante di carte dal tavolo di lavoro di Benedetto XVI. Due casi diversi quindi, accomunati dal fatto che le carte trafugate sono state riversate nel circuito mediatico e che hanno dato lavoro al sistema giudiziario vaticano, in passato poco o niente impegnato in questo genere di inchieste.La vicenda dell’ex aiutante di camera Paolo Gabriele inizia nel gennaio del 2012 con la puntata degli «Intoccabili» de La7 in cui Gianluigi Nuzzi, autore di un nuovo libro in uscita giovedì con carte che potrebbero provenire dalla Cosea, rende noti documenti riservati provenienti dal Vaticano. Nello stesso periodo documenti simili vengono riprodotti anche dal giornale Il Fatto quotidiano, mentre il 19 maggio esce in libreria il primo volume di Nuzzi tutto basato su documenti riservati interni alla Santa Sede. Due giorni dopo i sospetti per la fuga di documenti si concentrano proprio su Gabriele. Il 23 maggio la sua abitazione viene perquisita dalla Gendarmeria vaticana. Viene trovata una enorme mole di carte possedute illecitamente e l’aiutante di camera viene messo in stato di arresto. La notizia dell’arresto diventa pubblica il 26 maggio. Nel frattempo, il 24 maggio, viene arrestato per un giorno, il tecnico informatico Claudio Sciarpelletti, accusato dapprima di complicità e poi di favoreggiamento, ma questa notizia rimarrà riservata fino al rinvio a giudizio di Gabriele del 13 agosto. Il 21 luglio Gabriele subisce l’ultimo interrogatorio al termine del quale gli vengono concessi gli arresti domiciliari. Il processo di Gabriele inizia il 29 settembre si conclude alla quarta udienza del 6 ottobre, quando viene pronunciata la sentenza. Il Tribunale vaticano lo riconosce colpevole di «furto qualificato» e lo condanna a tre anni di reclusione dimezzandogli però la pena a 18 mesi. I giudici riconoscono all’ex aiutante di camera del Papa le attenuanti in considerazione della «assenza di precedenti penali», delle «risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati», e del «convincimento soggettivo, sia pure erroneo, indicato dall’imputato quale movente della sua condotta», e infine della «dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre». Il 23 ottobre vengono pubblicate le motivazioni della sentenza. Due giorni dopo la difesa rinuncia all’appello e la sentenza diventa così definitiva. Gabriele torna in cella dove rimane fino al 22 dicembre quando Benedetto XVI gli concede la grazia. Lascia il lavoro vaticano ma gli viene garantita una occupazione “esterna” per poter portare avanti la famiglia.Un caso diverso da quello attualmente all’attenzione della magistratura vaticana, e da quello del 2012, è stata la vicenda del nunzio polacco Jozef Wesolowski. Anche lui venne arrestato dalla gendarmeria vaticana, era il 23 settembre 2014, ma per il reato di abusi sessuali verso minori e pedopornografia. Il processo a suo carico comunque si è estinto per la morte sopraggiunta lo scorso 27 agosto.
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