venerdì 19 giugno 2015
Via libera della Camera. Chi non è stato riconosciuto alla nascita potrà chiedere al Tribunale dei minori, compiuti i 18 anni, di conoscere l’identità dei propri genitori biologici.
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Il figlio non riconosciuto alla nascita potrà chiedere al Tribunale dei minori, compiuti i 18 anni, di conoscere l’identità dei propri genitori biologici.La legge è stata approvata ieri in prima lettura alla Camera: 307 i sì, 38 gli astenuti, solo 22 i contrari. Il confronto si sposta ora al Senato e promette di essere altrettanto acceso. Perché la norma sull’«accesso all’identità biologica» rimane controversa.Se il Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini tira un sospiro di sollievo, l’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie) parla di decisione inaccettabile. Stessa divisione "trasversale" per le forze politiche. Anche all’interno del Pd, che pure ha votato in gran parte a favore della norma, i distinguo sono stati numerosi. Così, come tra coloro che sostenevano la necessità di una mediazione, si è creata una strana alleanza tra Gian Luigi Gigli (Per l’Italia-Cd), nonché presidente del Movimento per la vita, e Daniele Farina (Sel), già leader del Centro Leoncavallo di Milano. Entrambi hanno messo in luce il rischio che l’approvazione della legge potesse tradursi in un aumento degli abbandoni di neonati. Poi l’introduzione della possibilità per la donna di esprimere la sua contrarietà all’ipotesi di essere contattata dal tribunale ("contact veto") ha finito per mettere tutti d’accordo.«Siamo lieti di aver animato il dibattito attorno al diritto a conoscere le proprie origini – ha spiegato Gigli – evitando che la sua assolutizzazione potesse anche involontariamente favorire aborto e infanticidio, e aggravare il rischio per le donne costrette a partorire fuori dall’ospedale per veder garantito il loro anonimato. In ogni caso l’equilibrio trovato è accettabile». A parere del presidente del Movimento per la vita, c’era il rischio di «un conflitto potenziale tra madri in difficoltà, nascituri, bambini appena nati e abbandonati, giovani adottati e famiglie che li hanno accolti, con esigenze spesso contrastanti che possono finire per contrapporsi». La decisione presa dalla Camera rappresenta invece un positivo punto di equilibrio che «tiene conto delle nostre preoccupazioni per un involontario aumento dei casi di aborto e di infanticidio, qualora fosse stato mantenuto immodificato il testo originario della proposta di legge».Sulla stessa linea Milena Santerini (Per l’Italia-Cd): «Abbiamo espresso un voto sofferto ma comunque favorevole. Va ricordato che la possibilità di rimanere anonime è una risorsa fondamentale per partorire in sicurezza, nell’interesse dei bambini di vivere e trovare successivamente una famiglia adottiva». Una posizione che però Frida Tonizza, consigliere nazionale Anfaa, considera in modo assolutamente negativo. Tra gli aspetti criticabili, a parere dell’Associazione famiglie adottive e affidatarie, la necessità da parte delle donne di riconfermare una posizione già espressa alcuni decenni prima. Come se il diritto all’anonimato nel frattempo fosse venuto meno.«Ma l’apertura più grave – sottolinea Frida Tonizzo – riguarda la possibilità di accedere ai dati dopo il decesso della madre, anche di fronte alla sua scelta di parto in anonimato. Un vero e proprio oltraggio alla memoria che, dal punto di vista umano, prima ancora che giuridico, è di una gravità assoluta. Senza considerare che questa decisione pregiudica la nascita di tanti bambini».Ecco perché l’Anfaa è ben decisa a continuare in Senato la battaglia a favore del diritto delle madre di mantenere l’anonimato. Di parere opposto Anna Arecchia, presidente del Comitato nazionale per il riconoscimento del diritto delle origini. «È stata riconosciuta la bontà delle nostre posizioni. La legge approvata alla Camera è equilibrata e permette alle madri che avevano scelto l’anonimato di confermare la volontà di non essere rintracciate ma, allo stesso tempo – continua Anna Arecchia – offre a noi figli la speranza di fare finalmente chiarezza sul nostro passato e di conquistare un tassello fondamentale della nostra identità». Una posizione su cui si ritrova la maggior parte dei politici. Per Donatella Ferranti, presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, la legge colma un vuoto legislativo conciliando due diritti fondamentali: quello della madre biologica di mantenere la segretezza e quello dei figlio di sapere chi lo ha generato. Soddisfatta anche Alessia Morani, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera: «Punto di equilibrio importante tra diversi diritti, tutti ugualmente rispettati e garantiti».
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