lunedì 3 dicembre 2012
​Dal Carso alle Murge di tanto in tanto vengono scoperti ogni genere di scarti: ospedalieri, montagne di eternit, idrocarburi, olii esausti e misteriosa ferraglia che alle analisi risulta irradiata. (Marco Birolini e Nello Scavo)
INTERVISTA Gli speleologi: «Troviamo di tutto»
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Laggiù, tra cunicoli inesplorati e anfratti fangosi, chi andrà mai a controllare? Del resto non esiste neanche un censimento dettagliato delle grotte italiane. Niente di più sicuro e conveniente per liberarsi di rifiuti pericolosi, risparmiando sui costi di smaltimento illegale e mettendosi al riparo da occhi indiscreti.Dal Carso triestino, alle grotte delle Murge, di tanto in tanto vengono scoperti ogni genere di scorie: rifiuti ospedalieri, montagne di eternit, idrocarburi, olii esausti, perfino misteriosa ferraglia radioattiva.Il fenomeno, nella sua pericolosità, è stato preso sul serio solo da una decina d’anni. Da quando per la prima volta la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, mise nero su bianco che non si tratta più di cattive usanze di «contadini ed allevatori che in questa maniera si disfacevano facilmente di carogne di animali ed altri rifiuti organici». Ora si assiste all’utilizzo delle spelonche «per lo smaltimento abusivo di rifiuti speciali e pericolosi». Un modo per sottrarsi ai trattamenti previsti dalla legge, «ritenuti eccessivamente onerosi, tanto da preferire il loro occultamento all’interno delle cavità naturali».Solo nel Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola, tra Imola e Faenza, nelle settimane scorse sono stati rimossi 60 quintali di rifiuti provenienti da 20 grotte. E non ci vuole molto a capire che dev’esserci un’organizzazione rodata se oltre all’onnipresente eternit sono stati scoperti 400 quintali di scarti da conceria, a tutti gli effetti rifiuti tossici.A volte sono a rischio, non solo l’ecosistema e la salute pubblica, ma perfino la sussistenza di interi territori che al turismo devono tutto. A Marina di Camerota le Grotte del Mingardo sono un deposito di veleni che appestano la caverna dei pipistrelli. Gli escrementi sono il problema minore. A preoccupare è la quantità di amianto a pochi passi dalla cala frequentata dai villeggianti.Quando si ha a che fare con le grotte di solito per cercare i colpevoli degli sversamenti non bisogna andare troppo lontano dalle aree inquinate. Il Carso triestino, con le sue cavità naturali, ha rappresentato per anni la meta ideale per chi voleva smaltire illecitamente rifiuti di ogni tipo, compresi quelli tossico-nocivi. La pratica risale almeno agli anni ’70. Nel 1972, dopo l’attentato di "Settembre nero" all’oleodotto di San Dorligo, il petrolio fuoriuscito e il terreno contaminato furono versati nel "Pozzo dei colombi", vicino a Basovizza. Sul fondo della grotta si creò un lago di idrocarburi, poi parzialmente bonificato dalla Regione. Nessun intervento invece è mai stato fatto sul Pozzo del Cristo, tra Basovizza e Gropada, dove fu installato persino un comodo bocchettone per agevolare le autobotti che nottetempo arrivavano a scaricare nafta e altri scarti petrolchimici. Una serie di scempi portati alla luce dagli speleologi, che loro malgrado nel corso degli anni si sono imbattuti in scenari desolanti e altamente tossici. Per calarsi in queste cavità contaminate, infatti, occorre dotarsi di respiratore, altrimenti si resta avvelenati dalle esalazioni.Le stime dell’associazione ambientalista Greenaction, le grotte inquinate del Carso triestino sono 128 in 212 km quadrati, una ogni 1,65 km quadrati. Negli abissi c’è di tutto: non solo idrocarburi, che filtrano nelle falde sottostanti a causa dell’alta permeabilità del sottosuolo, ma anche residui bellici di ogni tipo. «Ovunque, tra il catrame e le immondizie, si notano numerosi bossoli e proiettili risalenti all’ultimo conflitto mondiale», si legge nella relazione sulla spedizione speleologica del 1998 nel Pozzo del Cristo. Che continua così: «A circa 50 metri di profondità lo stivale sprofonda in uno spesso strato di melma oleosa e rifiuti tra cui spicca una bomba a mano ancora con la sicura». E ancora: «Poco più in là si trova una pozza di olio e nafta in emulsione il cui livello è molto diminuito rispetto alla nostra precedente visita (29 gennaio 1991), segno che i liquami continuano ad essere assorbiti sempre più in profondità nel sottosuolo».L’ambientalista Roberto Giurastante, che da anni conduce la sua battaglia per denunciare l’inquinamento portato avanti da quello che lui definisce «sistema Trieste» (la zona del porto è stata dichiarata Sito inquinato di interesse nazionale), ha individuato una dolina riempita da inerti vicino ad Aurisina. Si tratta di una ex discarica che era gestita dalla Ecormed, una società che collaborò con il Comune di Trieste. Nel 2000, davanti alla Commissione parlamentare sulle ecomafie, il procuratore della Repubblica di Trieste la descrisse così: «Ho la sensazione che faccia parte di un oligopolio di dieci aziende raccoglitrici di rifiuti radioattivi di provenienza civile, per così dire». Già nel ’98, Giurastante si era recato sul posto con un rilevatore di radioattività. «Trovai valori anomali, superiori a quelli naturali», sostiene. Tre anni dopo, il professor Michele Pipan, geofisico dell’Università di Trieste, effettuò rilievi con il georadar, individuando in profondità «anomalie compatibili con la presenza di masse metalliche».Per accertarne la natura, servirebbero test più approfonditi. Che nessuno si è mai sognato di fare. La vicenda, denunciata alla procura da Giurastante, fu archiviata per prescrizione del reato.L’avvelenamento del Carso sembra non interessare a nessuno. Nel 2010, dopo alcuni articoli della stampa locale sulle grotte deturpate, l’onorevole Ettore Rosato (Pd) rivolse all’allora ministro ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo un’interrogazione per sapere «se il ministro sia a conoscenza del problema dell’inquinamento del Carso triestino e delle dimensioni del fenomeno, e se, in tal caso, abbia valutato se tali aree possano essere inserite tra i siti inquinati da bonificare di interesse nazionale». Due anni dopo, Rosato è ancora in attesa di risposta.
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