mercoledì 10 febbraio 2016
Polemiche all’indomani dei 10 arresti nella clinica laziale. Michele Bellomo: noi abbiamo denunciato. Interrogazione alla Camera. Il Comune parte civile. IL VIDEO
Grottaferrata, «Cacciate le mele marce»
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Non si placa l’ondata di indignazione sollevata dalla vicenda dei disabili che hanno subito maltrattamenti all’interno del centro "Eugenio Litta" di Grottaferrata. La vicenda finirà anche in Parlamento per l’interrogazione presentata alla Camera da Mara Carfagna (Fi), che tra l’altro chiede di introdurre la videosorveglianza in asili e istituti. Mentre il sindaco della cittadina laziale, Giampiero Fontana, sta valutando la possibilità di costituirsi parte civile. Dal sociale arrivano i commenti del Forum delle associazioni familiari del Lazio e della Comunità di Sant’Egidio. Che chiedono alle istituzioni di intervenire. La presidente regionale del Forum, Emma Ciccarelli, dopo aver apprezzato la denuncia fatta dall’istituto stesso, ricorda che «le famiglie con persone disabili sono una risorsa e un modello per tutto il Paese». E lo Stato le deve aiutare. Anche la comunità di Trastevere, con il Movimento degli Amici, chiede alle istituzioni «una maggiore attenzione per evitare nuovi, gravi episodi ai danni di chi al contrario ha il diritto ad essere aiutato». E insieme «un nuovo impegno di tutte le reti sociali».
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Qui ragazzi e bimbi malati nel corpo e nella mente lottano e soffrono. Qui una decina di mele marce li prendeva a calci o a colpi di scopa, li usava sadicamente. Come uno dei dieci operatori indagati, mentre un altro tiene per le braccia una ragazza disabile, gonfia col fiato un guanto di lattice, lo avvicina all’orecchio di lei, lo fa scoppiare e poi le dice «ti ammazzo, oggi è il tuo ultimo giorno», come si sente e vede in un’intercettazione ambientale dei carabinieri. Altri operatori hanno pianto, quando hanno saputo cosa arrivavano a fare i loro colleghi: lacrime di rabbia e dolore. «Mi sono immedesimato coi familiari, pensando se ci fossero stati i miei figli...», dice Michele Bellomo, direttore generale del Villaggio Eugenio Litta a Grottaferrata, due passi dalla Capitale. Sussurra. La botta è stata forte. Come pure la reazione dei genitori di tanti pazienti del Villaggio: «Li capisco. E hanno tutta la mia solidarietà. Capisco che in questo momento possano essere arrabbiati anche con noi. Posso dire che nel momento in cui ci siamo resi conto che qualcosa non andava, siamo intervenuti. Ci siamo rivolti ai Carabinieri». Bellomo è chiamato a dirigere l’Eugenio Litta nel maggio 2014, quasi subito tre famiglie gli segnalano che da un po’ accade qualcosa di strano, a volte i loro figli tornano a casa con lividi, spesso assai più nervosi del solito... «Mettendo insieme tutto questo con alcune sensazioni che avevamo avuto noi dirigenti nuovi, ci siamo detti: "Forse è bene intervenire". E a luglio, sempre del 2014, vado dai Nas dei Carabinieri e dico loro: "Non ho prove, non ho niente, però questo è quello che potrebbe stare succedendo". Loro hanno preso a cuore la mia denuncia e devo dire la verità, sono stati correttissimi e bravissimi». È martedì grasso, stamani c’è la festa di Carnevale al Villaggio, che è struttura di eccellenza nel suo campo (le liste di attesa per entrarvi sono lunghe due anni). Quasi tutti i bambini sono venuti a partecipare, le attività cliniche e terapeutiche vanno avanti come sempre e solamente in un caso, dopo gli arresti, una mamma è venuta a togliere suo figlio. «Voglio e posso dire alle famiglie che stiano tranquille – va avanti Bellomo –. Il fatto è avvenuto, le mele marce sono state cacciate e non accadrà più qualcosa di simile». A chiedergli se quei dieci indagati (e inchiodati dai video realizzati dalle telecamere nascoste dagli uomini dell’Arma) torneranno mai a lavorare qui, il direttore generale ride: «Non è ipotizzabile». Tant’è che li hanno già rimpiazzati, subito, l’altro ieri stesso. Qualcuno ha accusato i vertici del Villaggio Eugenio Litta di non aver messo le telecamere: «È impossibile farlo, per due motivi – risponde Bellomo –. Intanto per la privacy dei pazienti, sebbene le famiglie avrebbero ovviamente dato il loro benestare. Ma la legge sulla tutela del lavoro non consente di mettere telecamere, se non con un accordo. Al quale non siamo mai arrivati, purtroppo». Un piccolo bimbo down passa in braccio alla mamma lungo il corridoio qui fuori. Sorride. Il direttore lo guarda. «Doveva esserci la tempesta, evidentemente – ripete –. Adesso è passata. E non tornerà».
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