martedì 11 giugno 2013
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«Dottò, pensa che un tempo, quando ero libero, e guardavo gente che camminava con lo zaino, glie dicevo "ma chi te lo fa fa'"?. Oggi, che so' carcerato, sono io a camminare, e la gente me chiede "ma chi te lo fa fa'». Già, Franco, e a te chi te lo fa fare? «L'ho fatto per mia figlia gravemente ammalata. Questa fatica è un sacrificio per lei, perché Dio l'aiuti, la guarisca, le dia tanta forza». Lo scrive anche il Giudice di sorveglianza nell'autorizzazione a partecipare alla via Francigena del sud, da Montecassino a Roma: «Il detenuto appare particolarmente coinvolto perché vuole intraprendere il pellegrinaggio con il pensiero rivolto alla figlia di cui si è sempre preso cura».I 26 chilometri della tappa da Anagni e Artena non sono molto impegnativi.  Occasione per parlare un po' più a fondo con i sei detenuti che camminano con noi. Per capire le loro motivazioni. Nessuno dice di no, ormai siamo davvero comunità in cammino. «Io l'ho fatto per non restare buttato in cella - ci risponde Vincenzo -, perché voglio cambiare, per i miei due figli e mia moglie. Voglio riuscirci, sento di essere cambiato».Anche Ciro pensa alla famiglia. «Per vent'anni sono stato molto cattivo con mia moglie. Le ho promesso che quando uscirò staremo sempre insieme, coi nostri due figli. Voglio cercare di riparare ai miei errori con la mia fatica e l'aiuto di Dio». Giuliano, una dura storia di droga e reati, ha due motivazioni. "Sto camminando per mio fratello maggiore, molto grave all'ospedale. Ma lo faccio anche per me. Mi sto mettendo alla prova: o scelgo di vivere o la morte mi prende".Dopo i primi due giorni le caviglie gonfie sembravano averlo bloccato. "Ma sono ripartito, ci devo riuscire, anche con la droga". Omar, marocchino, era stato sconsigliato. "Mi avevano detto: "Ma tu che c'entri? Sei musulmano". E allora? Anche io voglio mettermi alla prova, anche per me è importante: la fatica, il pellegrinaggio, l'arrivo a Roma dal Papa".Per Flameng, albanese, c'è una motivazione che si lega proprio a un Papa. "Ero al Gemelli per un tumore proprio mentre era ricoverato Giovanni Paolo II gravissimo. É venuto un cardinale per benedirmi e da lì ho cominciato a credere. Questo mio cammino e questa mia fatica sono un modo per sdebitarmi". Ma non ci sono solo le loro motivazioni. Al fianco dei detenuti in questi giorni ci sono i volontari della Confraternita di San Jacopo di Compostella. Li hanno guidati, accuditi, anche sgridati quando ce n'era bisogno. "Sono qui per sentirmi utile - risponde Folco, 61 anni -, per ridare indietro quello che ho avuto.  É stato molto bello conoscere persone che hanno sbagliato ma che sono uomini come me. Tutto questo mi lascia più ricco dentro, sperando di aver trasmesso qualcosa di utile". "Sono qui per stare con la gente - dice anche Alberto, 66 anni -, per cercare di dare qualcosa a chi è stato più sfortunato di me. La fatica? Mi fa star bene e quando stai bene con te stesso stai bene anche con gli altri". Motivazioni e speranze che tutti ieri, alla fine della tappa, hanno deposto, nel corso della messa, davanti al Signore e alla mamma del Cielo, nelle piccola chiesa della Madonna delle Letizie, santuario della Madonna delle Grazie.
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