lunedì 10 ottobre 2016
Gli italiani e il "turismo farmaceutico" per abbattere i costi delle nuove terapie. Il mercato nero dei preparati che vincono il virus.
«L'epatite C? Noi ce la curiamo in India»
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«Giorno 1: benvenuti in India! Trasferimento in hotel. Giorno 2: incontro con il vostro dottore. Giorno 3: visita in farmacia e acquisto del Sofosbuvir generico e Sofosbuvir - Ledipasvir generico (i farmaci che curano l’epatite C con un successo superiore al 95%). Giorno 4: rientro in Italia». Il pacchetto, per i più esigenti, comprende pure hotel a 5 stelle, autista, traduttore, e persino lo chef privato. I costi non sono trascurabili ma per chi convive col virus acquistare il trattamento a 800 euro a fronte dei circa 45.000 - 50.000 (prezzi ufficiali di listino) da sborsare in Italia è quasi una manna. Le case farmaceutiche infatti stabiliscono i prezzi con i governi in base al Pil del Paese acquirente. La differenza sta (quasi) tutta qui. E così nasce e si sviluppa, non solo in Italia, il turismo farmaceutico. Che ha già numeri rilevanti: se si considerano anche i compratori online, in un paio di anni è passato da poche decine di coraggiosi sperimentatori agli attuali ordini di acquisto di migliaia di persone. L’epatite C può essere controllata a lungo in una condizione che non crea rischi imminenti. Ma la malattia può progredire pericolosamente fino a diventare mortale. Il Servizio sanitario nazionale, che paga alle case farmaceutiche, al netto degli sconti, tra i 10 e i 12.000 euro a trattamento, offre oggi i nuovi e potenti farmaci gratuitamente solo quando la patologia ha già avuto una grave progressione. Questione di costi. I malati - circa 180.000 quelli diagnosticati in Italia - vogliono invece prevenire lo stadio avanzato. E chiedono, attraverso le associazioni, la rimozione delle limitazioni. Il mancato accoglimento di questa richiesta produce il ricorso a strade diverse. Come quella intrapresa da un cittadino milanese che ha ordinato il farmaco generico online dall’India. La Dogana italiana, però, ha sequestrato i flaconcini con il medicinale in aeroporto perché le nostre leggi vietano l’importazione di farmaci. Il ricorso dell’uomo ha prodotto una sentenza del Tribunale di Roma (seguita in realtà ad altrettanti pronunciamenti dei magistrati di Genova, nel 2010, e Bari, nel 2012) che il 2 settembre ha ordinato il dissequestro del farmaco perché «è il caso di osservare che la quantità limitatissima dei prodotti importati, la accertata malattia del signor…, e la prescrizione medica prodotta, non possono lasciar dubbi in ordine alla destinazione esclusivamente personale dei prodotti importati». Dunque, per i giudici, avere importato il farmaco a fini personali non costituisce reato. Quella dei magistrati capitolini è una sentenza importante ma che non fa giurisprudenza perché se è vero che in questo tipo di transazione commerciale l’illecito penale è del venditore e non del compratore, resta il fatto che la vendita online di farmaci soggetti a prescrizione costituisce pur sempre una condotta vietata e contrastata a vari livelli dal nostro ordinamento. Restano, dunque, i viaggi. Chi promuove quelli in India spiega che i medicinali sono «sicuri, legali e affidabili» perché «ognuno dei nostri clienti li acquista personalmente e direttamente in farmacia, ad Hyderabad». Inoltre, «sono tutti prodotti da case farmaceutiche indiane internazionalmente note e sotto licenza ufficiale». I malati si fidano. Il business aumenta. E così nascono opportunità altrettanto favorevoli in Pakistan, Egitto e Marocco. Mentre le mafie ci strizzano l’occhio e iniziano ad alimentare l’immancabile mercato nero. E in Europa? Se in Italia l’accesso universale alla nuova terapia è complicato, portoghesi, tedeschi e olandesi hanno deciso di compiere il grande passo: tutti i cittadini con il virus, gravi e meno gravi, hanno accesso alle nuove cure. «Anche da noi ci sono le condizioni per garantire un accesso programmato ma senza limitazioni considerando che presto nuove aziende farmaceutiche metteranno a disposizione il farmaco a prezzi più vantaggiosi. Manca "solo" la volontà politica – tuona Ivan Gardini, presidente dell’Associazione di pazienti EpaC onlus –. Germania, Olanda e Portogallo, hanno mostrato affidabilità e capacità di negoziazione con le case farmaceutiche puntando a programmi pluriennali. Inoltre, loro sanno quanti pazienti curare. L’Italia, al contrario, naviga a vista, punta su un Fondo (Farmaci innovativi, ndr) che ha durata annuale e non ha idea di quanti pazienti trattare, anche perché la nostra epidemiologia è vecchia di 25 anni. È inaccettabile! La stima più aggiornata, quella che indica circa 180.000 malati, l’abbiamo ottenuta noi facendo una ricerca regione per regione». Un’altra ricerca l’ha condotta l’Università di Roma Tor Vergata. Nell’ipotesi in cui si decidesse di trattare 30.000 pazienti ogni anno, al 2022, spiegano dall’ateneo, si avrebbe un costo complessivo di 2,5 - 2,8 miliardi di euro (con una spesa media per paziente di circa 15.000 euro). L’efficacia della cura, secondo i ricercatori, comporterebbe il mancato esborso successivo di 12.500 euro per paziente – che non avrebbe più bisogno di altre terapie – già a partire dal 2018. Conclusione: «L’investimento proposto sembra avere tutti i criteri di una sostenibilità economico-finanziaria». Parola al governo.
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