sabato 2 novembre 2013
Dopo le dichiarazioni di Schiavone, l’organismo parlamentare presieduto da Massimo Scalia disse sì all’unanimità a una proposta di legge per meglio combattere gli inquinatori. Già allora si sottolineava come le mafie «hanno ormai individuato nel traffico di rifiuti un nuovo e vantaggiosissimo business» Di qui la necessità di un «adeguamento legislativo».
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Non c’è solo il verbale di Carmine Schiavone da far riemergere dal dimenticatoio del Parlamento. Se oggi si pensa di varare un decreto temporaneo per combattere, solo in Campania, le ecomafie, ben 15 anni fa da Camera e Senato uscì una proposta molto più articolata. Ma rapidamente dimenticata, ancor più di quello che aveva detto il boss dei "casalesi". Appena 5 mesi dopo le sue rivelazioni di fronte alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, lo stesso organismo parlamentare, allora presieduto dal "verde" Massimo Scalia, approvò all’unanimità una proposta di legge per meglio combattere gli inquinatori.

Il titolo, pur lungo e tecnico, era chiaro: «Introduzione nel Codice penale del Titolo VI-bis "Delitti contro l’ambiente", e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell’"Ecomafia"». Tre articoli, pene pesanti, aggravate in caso di danni alla salute, previsione della confisca dei beni, obbligo della bonifica. Proprio quanto si sta chiedendo in questi mesi dopo le inchieste di Avvenire. Peccato che quella proposta sia stata scritta 3 lustri fa. Sono passate 5 legislature ed è rimasta nel cassetto, non degna neanche di una pur breve discussione in una delle Camere. Anche se proprio a questo servono le commissioni d’inchiesta. Ma ora che girano bozze di decreti sarebbe il caso di "riesumare" quel prezioso lavoro. La relazione che accompagnava la proposta partiva dall’analisi che «l’effetto deterrente e repressivo» delle norme in materia ambientale «a fronte di attività illecite nel contesto delle quali si è inserita, con un lucroso profitto, la criminalità organizzata, è praticamente nullo, giacché le modeste sanzioni sono del tutto inadeguate a fronteggiare e scoraggiare i vantaggi economici miliardari». Già allora si sottolineava come le mafie «hanno ormai individuato nel campo ambientale, e in particolare nel traffico dei rifiuti, un nuovo e vantaggiosissimo business, di interesse pari a quello del traffico di droga ma con rischi bassissimi o, più realisticamente, del tutto inesistenti». Ecco quindi la necessità di  «un adeguamento legislativo che fornisca alla polizia giudiziaria nuovi e più penetranti strumenti investigativi, ed alla magistratura più idonei regimi sanzionatori proporzionati alla gravità dei fatti». In primo luogo l’inserimento nel Codice penale dei "delitti contro l’ambiente". Poi un primo nuovo reato: "Alterazione dello stato dell’ambiente". Prevista una pena da 1 a 6 anni e la multa da 25 a 50 milioni di lire. Pene raddoppiate «se dal fatto deriva pericolo per la salute». Pena invece ridotta di due terzi «se prima del giudizio il soggetto responsabile elimina il pericolo per l’ambiente, ovvero, ove ciò non sia possibile, ripari comunque il danno patrimoniale e non patrimoniale». Ripristino comunque obbligatorio in caso di condanna. E sempre in caso di condanna era previsto che scattasse la confisca delle aree coinvolte, e anche dei beni del responsabile. Altro reato previsto era quello di "Traffici contro l’ambiente", punito  con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 25 a 100 milioni di lire. Pena aumentata da un terzo alla metà in caso di traffici internazionali o di sostanze radioattive e della metà se il fatto riguarda quantità ingenti. Vi è quindi l’"Associazione per delinquere contro l’ambiente", punita con la reclusione da 2 a 6 anni. Mentre «i promotori, gli organizzatori, i capi, coloro che, coscienti dello scopo associativo, forniscono mezzi finanziari o consulenze tecniche all’associazione», avrebbero pagato ancora di più: da 3 a 8 anni. Infine il reato di "ecomafia", parola che per la prima volta si voleva inserire nel Codice penale, come aggravante di un  terzo della pena già prevista  per l’associazione di tipo mafioso (articolo 416bis) «se le attività economiche delle quali gli associati intendono assumere o mantenere il controllo siano finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di reati contro l’ambiente». Insomma c’era davvero tutto. Forse troppo...e non se ne fece niente.

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