lunedì 15 aprile 2013
​Il volontariato vale il 5% del prodotto interno lordo, ma non ha  “casa”. Il presidente del Cnv, Edoardo Patriarca: «Per capirne l'importanza basta immaginare cosa accadrebbe se decidesse di fermarsi per un giorno solo. Il Paese si fermerebbe».
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​Difficoltà economiche, fragilità sociali, incertezza politica. È un quadro a tinte fosche quello in cui si è svolto il Festival del volontariato – Villaggio solidale, organizzato dal Centro nazionale del Volontariato (Cnv), cheha chiuso ieri a Lucca la sua terza edizione. Ma incontrarsi e fare festa è giusto anche in questo periodo, forse doveroso, per una realtà che proprio nell’attuale fase rappresenta una risorsa preziosa a cui guardare.Sono 5 milioni i volontari e una miriade le organizzazioni, nei più svariati campi, che ogni giorno offrendo i loro servizi fanno da cemento a una coesione sociale a rischio. E danno un contributo fondamentale anche dal punto di vista economico, che però quasi mai gli viene riconosciuto. Forse anche per questo, com’è emerso in una ricerca presentata a Lucca da Fondazione Volontariato e partecipazione insieme al Cnv, meno della metà dei quasi 2mila presidenti di associazioni di volontariato interpellati si è detto soddisfatto delle politiche locali per il volontariato e solo il 17% delle politiche nazionali.«Per capire l’importanza del volontariato – dice Edoardo Patriarca, presidente del Cnv - basta immaginare cosa accadrebbe se decidesse di fermarsi per un solo giorno, venendo a mancare nelle carceri, nel socio-sanitario, nella disabilità, nella non autosufficienza e in molte altre aree strategiche: il Paese si fermerebbe. Il volontariato investe nelle relazioni ed è ormai largamente condiviso che chi produce beni relazionali è un potente incentivatore di investimenti economici». È stato calcolato, ad esempio, che per ogni euro investito nei volontari, si ottiene un ritorno economico di 12 euro.Ma il riconoscimento del ruolo economico del volontariato va di pari passo con la maturazione della consapevolezza che i valori identitari che esso esprime sono in realtà fondativi anche di quel mondo economico e finanziario che, invece, se ne è progressivamente allontanato. «La crisi è arrivata – sottolinea Patriarca – perché dono e gratuità sono stati negati da un’economia fondata sull’utilitarismo. Si è perso il significato di cosa vuol dire fare buona economia. Un tempo lo dicevamo in pochi, ora c’è stata una sorta di sfondamento culturale: se non si recupera la passione per il bene comune, non si riattiva l’economia».Anche per questo il Festival di Lucca, con oltre un centinaio di appuntamenti culturali in quattro giorni di manifestazione, ha deciso di ripartire dalle parole. A cominciare dallo slogan, «Dentro tutti». «Oggi non ci possiamo consentire – spiega Patriarca – che qualcuno rimanga indietro: questo Paese si salva soltanto se si fa attento a tutti. Il simbolo che abbiamo scelto, due braccia che cingono una città ideale, significa che occorre essere accoglienti e aperti. Riconquistare parole come legalità (ieri al Festival ne ha parlato Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale, ndr), benessere, giustizia, cura, libertà, significa dare un messaggio anche culturale: siamo un popolo che oltre a fare le cose è portatore di una cultura che va oltre le divisioni ideologiche, mettendo al centro la persona e la comunità».
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