giovedì 1 dicembre 2011
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«La Santa Sede […] in nessun modo promuove l’uso di tecniche contraccettive come misure di pianificazione familiare o per programmi di prevenzione dell’Aids». Queste parole, pronunciate da Philip J. Bené il 22 novembre scorso di fronte alla terza commissione dell’Assemblea generale dell’Onu, sono l’ennesima conferma che in tema di lotta all’Aids la Chiesa cattolica continua a promuovere quell’"umanizzazione della sessualità" a cui Benedetto XVI ha più volte fatto riferimento. Bené fa parte dello staff vaticano presso le Nazioni unite – come è noto la Santa Sede all’Onu ricopre il ruolo di osservatore permanente – istituzione presso la quale indubbiamente prevale l’approccio che vede nell’uso del preservativo la strada maestra nella lotta all’Aids. Le affermazioni di Bené sono ancor più dense di significato se si considera che sono arrivate a ridosso del viaggio in Benin del Santo Padre, in occasione del quale è stata resa pubblica l’esortazione apostolica Africae Munus che affronta negli stessi termini le questioni legate all’Aids.L’approccio proposto dalla Chiesa cattolica, che richiama al primato dell’educazione sulla tecnica, trova ormai pieno diritto di cittadinanza all’interno della comunità scientifica, in seno alla quale ai dubbi sui programmi finanziati dall’occidente si associano i successi registrati da campagne che puntano a veicolare messaggi sull’efficacia di comportamenti sessuali quali astinenza e fedeltà. Quest’anno, prima una pubblicazione su Plos Medicine che mostrava un calo del contagio in Zimbabwe legato ad un cambiamento delle abitudini sessuali, poi un articolo su Lancet che associava all’uso di un contraccettivo ormonale femminile una maggiore probabilità di contrarre il virus dell’Hiv, hanno suonato come campanelli d’allarme per i programmi di prevenzione dell’Aids e controllo demografico elaborati a livello internazionale. Risale poi al 25 novembre scorso l’annuncio da parte dell’Istituto nazionale di sanità statunitense dello stop deciso per un trial clinico che prevedeva l’uso di un gel vaginale per evitare il contagio da Hiv. Il gel, denominato Voice, non ha dato i risultati sperati: è stata registrata infatti la stessa incidenza del virus tra le donne che lo usavano e quelle a cui veniva somministrato un placebo. Negli Stati Uniti, il dibattito sui modi migliori per fermare l’epidemia di Aids è sempre di stretta attualità: è del luglio scorso una lettera con cui 40 membri della Camera chiedevano che la metà dei fondi destinati all’educazione sessuale fosse dedicata a progetti basati sul concetto di "risk avoidance" e dunque sull’educazione all’astinenza. A settembre, una legge che prevede la riallocazione di fondi per promuovere l’astinenza ha iniziato l’iter al Congresso degli Usa. Durante la presidenza Obama, infatti, sono stati tagliati gran parte dei fondi che con Bush erano stati stanziati per promuovere la sensibilizzazione su comportamenti sessuali responsabili. Le perplessità di chi spinge sull’uso del condom sono dettate dall’effettiva capacità, soprattutto per gli adolescenti, di recepire i messaggi riguardanti il rinvio dell’inizio della propria attività sessuale. Nel febbraio 2010, uno studio condotto da ricercatori dell’Università della Pennsylvania e pubblicato su Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine, evidenziava come da interventi educativi basati solo sull’astinenza si ottenesse che gli adolescenti ritardassero il debutto sessuale. Lo studio mostrava come, nei primi due anni dopo l’educazione ricevuta, la percentuale di giovani al primo rapporto scendesse di 15 punti rispetto alla media di coloro ai quali non veniva comunicato il valore dell’astinenza.Che messaggi di questo tipo abbiano la possibilità di essere recepiti e non siano solo teorie fallaci alla prova dei fatti lo conferma Alberto Piatti, segretario generale di Avsi: «La nostra fondazione da molti anni è impegnata in Africa per la cura e la prevenzione dell’Aids e sicuramente il linguaggio che parla al cuore dell’uomo, in quanto universale, rende possibile rivolgersi al popolo africano». Avsi ha condotto un progetto decennale di prevenzione materno-fetale che ha coinvolto circa duecentomila mamme e fatto nascere 4713 bambini non contagiati dal virus, sul quale è stata realizzata una mostra che proprio oggi verrà presentata in Campidoglio a Roma.
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