martedì 6 novembre 2012
​Il relatore Calabrò: «Oggi stesso la data di fine discussione in commissione». Anche Gasparri (Pdl) deciso a chiedere la calendarizzazione del disegno di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento alla prossima conferenza dei capigruppo.
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Il Pdl chiederà alla prossima conferenza dei capigruppo del Senato che l’esame del testo sulle dichiarazioni anticipate di trattamento approdi finalmente in aula. E dal relatore in commissione Sanità, oggi, arriverà la richiesta di date certe sulla fine della discussione. Dopo la lettera al presidente di Palazzo Madama per disincagliare il ddl, sottoscritta trasversalmente da 159 parlamentari, il Parlamento prova a recuperare il tempo perduto.È il capogruppo Maurizio Gasparri a prendersi l’impegno: «Come presidente dei senatori del Pdl ho una responsabilità e un dovere in più – annuncia – che è quello di chiedere la calendarizzazione del disegno di legge. E lo farò alla prossima conferenza dei capigruppo». Gasparri promette che spingerà per portare in aula il ddl sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, incagliato in commissione Sanità per lo strisciante ostruzionismo di Pd e Idv. E lo fa al convegno sulle Dat organizzato alla Palazzina della Minerva del Senato dall’Associazione intergruppo parlamentare per la vita, presieduto dal senatore del Pdl Stefano De Lillo. Un appuntamento che vede convergere esponenti di Pdl, Api/Fli, Udc e Pd.«Ciascuno dovrà assumersi pubblicamente le sue responsabilità votando in aula questo testo – spiega Gasparri – e mi auguro di non essere l’unico capogruppo che ne chiederà la calendarizzazione. Un pronunciamento su queste materie è indispensabile. Chi se ne dovrebbe occupare, se non il Parlamento? La magistratura? O i comuni?».Anche il relatore Raffaele Calabrò, senatore del Pdl, preme per chiudere il dibattito in commissione. Oggi, annuncia, «sarà da me richiesta la data di fine discussione e la data di presentazione degli emendamenti». Il testo, già approvato al Senato e alla Camera, è infatti oramai in terza lettura. «Sono quattro anni che questo testo gira in Parlamento», ricorda il relatore alla Camera, Domenico Di Virgilio del Pdl. «Non è una legge a carattere confessionale – ribadisce – e ha avuto un consenso anche nel voto segreto nettamente superiore alla maggioranza politica di allora. Per quale motivo non dovrebbe essere approvata? E non si dica che non è materia da governo tecnico, visto che nel decreto Balduzzi sulla sanità ci sono cose che esulano dalle questioni economiche». «Questa legge non ha costi – fa eco Paola Binetti, deputata Udc – e non permettere al Senato di votarla sarebbe davvero un vulnus per l’attività del Parlamento che ha trovato punti di mediazione molto alti». Il promotore dell’incontro, il senatore De Lillo del Pdl, teme che dietro al rinvio sine die «ci sia una volontà tattica di far finire la legislatura per proporre nuovi casi giudiziari» sulla falsariga della vicenda di Eluana. «Ma non possiamo lasciare ai tribunali di normare su materie come la vita e la morte», commenta Ada Spadoni Urbani, senatrice del Pdl. «Ci sono forze politiche che si adoperano pretestuosamente per allungare i tempi – spiega la senatrice Emanuela Baio del gruppo Api/Fli – ma abbiamo raccolto, senza faticare, 159 firme di colleghi che vogliono portare il testo in aula. Forse non è una legge perfetta, ma è il bene possibile oggi». «È cambiato il clima politico – è l’analisi di Lucio D’Ubaldo, senatore del Pd – e questo ci permette di non alzare la bandiera per dire "questa è la mia legge". È opportuno quindi sforzarsi perché il voto non corrisponda alla vittoria di un campo politico sull’altro. Sono convinto che altri senatori del Pd matureranno una posizione come la mia». Eugenia Roccella, deputata Pdl, ribadisce che «non è una questione che riguarda i cattolici e non è una legge illiberale. Il "partito della libertà di scelta" non si rende conto che il caso Englaro è stato il massimo della negazione di questa libertà, visto che Eluana non ha mai espresso un consenso informato. Non vedo una legge più laica di questa. L’alternativa è che decida un padre o un magistrato».
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