sabato 8 ottobre 2016
​Il presidente del Centro sportivo italiano s'interroga se sia giusto ricevere ancora il contributo del Comitato olimpico.
(Umberto Folena)
I controllori del calcio senza più olfatto di Italo Cucci
Bosio (Csi): potremmo dire no ai soldi del Coni
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«A questo punto, per coerenza, mi domando se sia opportuno ricevere ancora il contributo dal Coni». Vittorio Bosio, presidente del Centro sportivo italiano (Csi), sa bene che sarebbe una decisione grave (motivata dalla scelta della Figc di accettare come sponsor delle nazionali di calcio Intralot, internazionale del gioco d'azzardo, ndr): «Sarebbe dura tirare avanti, ma forse è necessario un gesto di coraggio». Perché indirettamente quel contributo – un milione 800mila euro all’anno – proviene dal gioco d’azzardo. Non più dal vecchio, tutto sommato innocuo Totocalcio. «Non possiamo limitarci a parlare e denunciare. Occorre dare segnali forti, coerenti con la nostra linea educativa». Presidente Bosio, come giudica la decisione della Federcalcio di accettare come sponsor una multinazionale dell’azzardo? Sono molto preoccupato per la ricaduta negativa sui ragazzi. Passa un messaggio devastante. E poi il gioco è altra cosa. Ci rubano le parole. Attorno alla parola "gioco" viene costruito un colossale equivoco. Per un ragazzo, "gioco" ha un significato ben preciso: tocca a noi restituirgli quello autentico, che niente ha a che fare con l’azzardo. Lo sport italiano dipende, tanto o poco, dai soldi dell’azzardo. Noi, come tutti, riceviamo un contributo annuale dal Coni. In parte, e indirettamente, sono soldi dell’azzardo. Lo sport italiano sta in piedi così. Mi sto domandando: è giunto il momento di un gesto di coraggio? Non so quanto e come potremmo andare avanti, il modo lo troveremmo. Ma non possiamo limitarci alle parole, alle denunce. Dobbiamo smarcarci da un certo sistema. Lei sta dicendo che il Csi potrebbe rinunciare al contributo del Coni? Se vogliamo che il mondo dello sport cambi, dobbiamo prendere in esame anche un’ipotesi estrema come questa. Occorrono gesti forti, scelte incisive, messaggi chiari. La promozione sportiva è dunque l’ultima trincea di uno sport che crede nei valori e li vive? In trincea ci siamo da sempre semplicemente facendo il nostro lavoro. Per noi è normale. Ma in trincea non siamo soli e segnali di speranza ce ne sono. Penso alla Junior Tim Cup, il torneo degli oratori che la Lega Calcio finanzia con le multe date ai calciatori. La Lega non è la Federcalcio, lo so. Però gli incontri tra mondi apparentemente lontani avvengono, e per fortuna, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Credo che diverse società di serie A sarebbero disponibili a collaborare. L'intervista integrale sul quotidiano Avvenire in edicola domenica 9 ottobre. Puoi acquistare la tua copia da domenica mattina anche on line >>> CLICCA QUI
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