martedì 11 ottobre 2011
​Confermata dalla Cassazione la condanna a un anno e 4 mesi di reclusione nei confronti di una mamma che riempiva di cura e attenzioni il figlio ritardandone, così, la regolarità dello sviluppo. Condannato anche il nonno del ragazzino.
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Confermata dalla Cassazione la condanna a un anno e 4 mesi di reclusione nei confronti di una mamma che riempiva di cura e attenzioni il figlio ritardandone, così, la regolarità dello sviluppo. Condannato anche il nonno del ragazzino. Per la Suprema Corte "l'iperprotezione e l'ipercura" costituiscono reato di maltrattamenti. Il bambino di questa vicenda non aveva ancora compiuto i sei anni. Senza successo, dunque, la signora Elisa G., mamma del bimbo, e il nonno materno, Giggetto G., hanno protestato, in Cassazione, contro la condanna per maltrattamenti inflittagli dal gup del tribunale di Ferrara nel 2007 e poi confermata anche dalla Corte di Appello di Bologna. A loro avviso tutte le cure delle quali circondavano il bambino non poteva essere equiparate al comportamento di chi veramente usa violenza nei confronti dei minori o li manda per strada a chiedere l'elemosina. Tra l'altro il loro figlio e nipote stava benissimo e non si era mai sentito una "vittima".  In sostanza, secondo la linea difensiva, di Elisa e Giggetto "gli atteggiamenti di iperprotezione o di ipercura, lungi dal costituire i maltrattamenti, integrano la ripetizione di condotte che nascono come positive e certo ispirate da intenzioni lodevoli, salvo poi riverberare effetti negativi su chi tali condotte subisce a causa della loro eccessiva e patologica esasperazione". Per questo, con il ricorso ai supremi giudici, si chiedeva l'assoluzione di mamma e nonno. Ma la Suprema Corte - con la sentenza 36503 - ha bocciato il reclamo sostenendo che è possibile che "inizialmente la diade 'madre-nonnò possa avere agito in buona fede, sia pur secondo una falsa coscienza, nella scelta delle metodiche educative e nella accurata attenzione ad impedire contatti di ogni tipo al bambino, isolandolo nelle sicure 'mura domestichè", in seguito hanno sbagliato nel perseverare dopo che c'erano stati "ripetuti sinergici interventi correttivi di una pluralità di esperti".  Era stato il padre del bambino, separato dalla madre, a lanciare l'allarme per la situazione nella quale viveva suo figlio con la mamma e il nonno. Il bambino, infatti, era stato 'educatò a respingere e rifiutare anche i contatti con la figura paterna. A causa degli atteggiamenti di mamma e nonno che tendevano a trattare il bambino come se fosse più piccolo dell'età che aveva, il bambino aveva anche difficoltà a camminare.
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