Dal giorno della scomparsa della 13enne alla
decisione della corte d'Assise di Bergamo ecco le tappe dell'inchiesta e del processo sulla scomparsa di Yara.
26 novembre 2010. Sono le 18.40 circa quando Yara Gambirasio esce
dalla palestra di Brembate di Sopra, piccolo comune in provincia di
Bergamo, e di lei si perdono le tracce. La 13enne ginnasta va nel
centro sportivo di via Locatelli per consegnare uno stereo, poi il
buio la inghiotte lungo quei 700 metri che la separano da casa. Alle
18.49 il suo cellulare Lg nero viene spento per sempre. Le ricerche
non trascurano nessuna pista: dall'allontanamento volontario al
rapimento.
5 dicembre 2010. Mohamed Fikri, operaio di un cantiere edile di
Mapello dove conducono i cani molecolari usati per le ricerche, viene
fermato su una nave diretta in Marocco perché sospettato del sequestro
e dell'omicidio. Pochi giorni dopo le accuse vacillano: alcune parole
in arabo mal tradotte e un biglietto per Tangeri già in tasca da tempo
fanno cadere l'ipotesi di una fuga. Il 7 dicembre il giovane esce dal
carcere; non è lui l'assassino di Yara.
26 febbraio 2011. Mamma Maura e papà Fulvio devono
smettere di sperare: il corpo della loro bambina viene trovato da un
appassionato di aeromodellismo in un campo abbandonato a Chignolo
d'Isola, a pochi chilometri da casa. L'autopsia svela le ferite alla
testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo
mortale: Yara era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando
chi l'ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il
decesso, lungo una lunga agonia, avviene quando alle ferite si
aggiunge il freddo.
9 maggio 2011. Viene isolata sugli slip e i leggings della vittima una
traccia biologica da cui è stato possibile risalire al Dna di 'Ignoto
1'. È una traccia trovata vicino a uno dei tagli messi a segno
dall'aggressore. Ci vorranno diversi mesi e il confronto con centinaia
di Dna per arrivare a dire con certezza che il sospettato è il figlio
illegittimo di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999.
7 marzo 2013. Viene riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni,
l'autista di Gorno, la probabilità che siano padre e figlio è del
99,99999987%, ma questo non basta per dare un nome a 'Ignoto 1'. Si
riparte dal Dna mitocondriale (che indica la linea materna) di 'Ignoto
1' per dare un nome alla madre. La comparazione tra 'Ignoto 1' e il
Dna di Ester Arzuffi (già in possesso degli investigatori dal 27
luglio 2012) porta al match: la probabilità che siano madre e figlio è
del 99,999%.
16 giugno 2014. Il presunto assassino di Yara ha un
nome: è Massimo Bossetti, 44 anni originario di Clusone ma residente a
Mapello. Sarà il ministro dell'Interno Angelino Alfano ad annunciare
via Twitter le manette. Spostato, padre di un bambino e due bimbe, il
suo Dna (acquisito con un alcoltest) combacia con 'Ignoto 1'. Per lui
l'accusa è di omicidio con l'aggravante di aver adoperato sevizie e di
avere agito con crudeltà. Un delitto aggravato anche dall'aver
approfittato della minor difesa, data l'età della vittima. Il 27
aprile 2015 il gup di Bergamo, Ciro Iacomino, lo rinvia a processo.
3 luglio 2015. Inizia il processo contro Massimo Bossetti. A giudicare
l'imputato, che rischia l'ergastolo, sarò la Corte d'assise di Bergamo
composta dal presidente Antonella Bertoja, dal giudice a latere Ilaria
Sanesi e da sei togati popolari. In aula non sono ammesse telecamere,
né cellulari o altri strumenti che permettano di riprendere imputato o
testimoni. Ai giornalisti non resta che carta e penna per seguire il
processo.
11 marzo 2016. Bossetti prende per la prima volta la parola in aula.
"Quel Dna non mi appartiene: è un Dna strampalato, che per metà non
corrisponde. È dal giorno del mio arresto che mi chiedo come sono
finito in questa vicenda visto che non ho fatto niente e voi lo
sapete", dice ribadendo la sua innocenza.
18 maggio 2016. Massimo Bossetti ha ucciso Yara con
crudeltà ed efferatezza. L'imputato "ha voluto arrecare particolare
dolore e ci è riuscito con un'agonia particolarmente lunga" contro la
vittima cagionandole "sofferenze eccessive". È quanto sostiene nella
sua requisitoria il pubblico ministero Letizia Ruggeri. Condanna
all'ergastolo con isolamento diurno per sei mesi la richiesta per
l'uomo accusato dell'omicidio e di calunnia nei confronti di un suo ex
collega, su cui ha puntato il dito.
10 giugno 2016. La difesa chiede l'assoluzione per l'imputato del
processo "più indiziario del mondo, dove nessun indizio è preciso
neanche il Dna". La custodia e la conservazione della traccia
biologica "sono il tallone d'Achille" di un'indagine "con troppe
anomalie" dove "più che l'accusa ho visto la difesa delle indagini.
Qui interessa il risultato, che finalmente ci sia il colpevole". I
difensori, gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, chiedono
un atto di "coraggio alla giuria: assolve Bossetti. Sia fatta
giustizia, non sia condannato un innocente".
1 luglio 2016. È il giorno della sentenza per l'unico imputato
accusato del delitto. Bossetti ha fatto delle dichiarazioni spontanee per
ribadire la sua estraneità al delitto e chiedere alla giuria di non
condannare un innocente. I giudici si riuniranno in camera di
consiglio e usciranno solo per la lettura della sentenza di primo
grado. In aula, ancora una volta, non sono ammessi telecamere o
fotografi a causa del "clima avvelenato" creatosi intorno al processo.