martedì 4 ottobre 2016
Inchiesta bis sulla morte del giovane. ​Gli esperti incaricati dal gip di Roma: nessun nesso con le lesioni, si è trattato di un attacco improvviso.
Medici assolti, va avanti l'inchiesta bis
Cucchi, perizia choc: morto per epilessia
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​Inedia, botte o epilessia? Nonostante tre processi già celebrati e un quarto in corso, a 7 anni dalla tragica e agghiacciante morte di Stefano Cucchi, deceduto in ospedale il 22 ottobre 2009 una settimana dopo l’arresto per possesso di stupefacenti, le cause di quel decesso restano oscure e oggetto di disputa in tribunale. Secondo la relazione di quattro periti, richiesta dal gip di Roma Elvira Tamburelli e depositata ieri, non sarebbero state le lesioni e fratture riscontrate a determinare il decesso del giovane. Nel suo caso, si legge nelle 250 pagine dell’atto, potrebbe trattarsi di una «morte improvvisa e inaspettata per epilessia, in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici». Si tratta comunque solo di un’ipotesi (in quanto «allo stato attuale non è possibile formulare alcuna causa di morte, stante la riscontrata carenza documentale») secondo i quattro medici (il professor Francesco Introna, Franco Dammacco, Cosma Andreula e Vincenzo D’Angelo), nominati dal gip. L’atto è stato depositato nell’ambito dell’inchiesta-bis sulla vicenda, che vede accusati 5 carabinieri della stazione Roma Appia: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco (indagati per lesioni personali aggravate e abuso d’autorità) e Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini (per falsa testimonianza e, solo Nicolardi, per false informazioni al pm). La prima inchiesta, avviata nel 2011, ha visto la condanna in primo grado di 5 medici dell’ospedale Sandro Pertini, poi assolti nel 2014 in appello. Nel dicembre 2015 la Cassazione ha deciso per un nuovo processo d’appello, chiuso nel luglio di quest’anno con un’ulteriore assoluzione. Nella relazione (richiesta nell’ambito dell’incidente probatorio), i medici sostengono che «le lesioni riportate da Cucchi dopo il 15 ottobre 2009 non possono essere considerate correlabili causalmente o concausalmente, direttamente o indirettamente anche in modo non esclusivo, con l’evento morte». Secondo i periti – che riconoscono come gli elementi in loro possesso non consentano «di formulare certezze sulla causa di morte» – una prima ipotesi potrebbe essere, come detto, la «morte improvvisa ed inaspettata per epilessia». Una seconda, alternativa alla prima, sarebbe invece correlata «con la recente frattura traumatica» di una vertebra sacrale (la «S4, associata a lesione delle radici posteriori del nervo sacrale»»), che può avere determinato l’insorgenza di una condizione di «vescica neurogenica atonica». Ma i 4 periti ritengono la prima ipotesi «dotata di maggiore forza e attendibilità ». Inoltre, la «tossicodipendenza di vecchia data» di Cucchi «può aver interferito con gli stessi farmaci antiepilettici, alterandone l’efficacia». E un’altra concausa potrebbe esser rintracciata nel «severo indebolimento» di Stefano «per insufficienza di alimentazione». Il 18 ottobre in tribunale è prevista, davanti al gip, l’udienza dell’incidente probatorio, durante la quale periti e consulenti si confronteranno. «Non è il professor Introna a definire il nesso causale, ma saranno i magistrati della procura ed i giudici», dice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. Per lei, «gli unici dati oggettivi scientifici che la perizia riconosce sono la duplice frattura della colonna e il globo vescicale che ha fermato il cuore. Abbiamo ottime possibilità di vedere processati gli indagati per omicidio preterintenzionale. Con buona pace dei medici e degli infermieri che vengono continuamente assolti». Mentre l’avvocato Eugenio Pini, legale di un militare indagato, è soddisfatto: «Chiederemo alla procura l’archiviazione del procedimento nei confronti dei carabinieri». Ma il presidente della commissione Diritti umani del Senato, Luigi Manconi, invita a evitare «valutazioni precipitose» su una «perizia contraddittoria e approssimativa», che comunque riconosce «quella doppia frattura alla colonna su cui da 7 anni hanno insistito, inascoltati, i familiari».
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