martedì 8 gennaio 2013
Nelle carceri italiane i detenuti hanno a disposizione meno di tre metri quadrati. La Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia per trattamento inumano e degradante di sette persone ristrette a Busto Arsizio e Piacenza. La sentenza sottolinea il carattere strutturale e sistematico del sovraffollamento.
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Per la seconda volta, la Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia, colpevole di violare i diritti dei carcerati, tenuti in celle di circa tre metri quadrati. I richiedenti, sette persone che hanno scontato la propria pena nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza (i signori Torreggiani, Bamba, Biondi, Sela, El Haili, Hajjoubi e Ghisoni) hanno denunciato di aver occupato celle di nove metri quadrati ognuno insieme ad altre due persone. Inoltre hanno sostenuto di essere stati senza acqua calda e, alcuni, senza una giusta illuminazione. Duro il commento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo cui la sentenza della Corte di Strasburgo rappresenta «un nuovo grave richiamo alla insostenibilità della condizione in cui vive gran parte dei detenuti nelle carceri italiane -  si legge nella dichiarazione del Quirinale -. Si tratta di una mortificante conferma  della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena».  Il capo dello Stato ha poi stigmatizzato il fatto che il Parlamento, in materia di pene alternative, avrebbe potuto assumere delle decisioni «e purtroppo non lo ha fatto. La questione deve ora poter trovare primaria attenzione anche nel confronto programmatico tra le formazioni politiche che concorreranno alle elezioni del nuovo Parlamento così da essere poi rimessa alle amere per deliberazioni rapide ed efficaci».Strasburgo: puntare sulle pene alternativeMa la sentenza della corte non si limita a sanzionare la situazione dei penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza: la Corte ha constatato che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia ha carattere strutturale e sistematico. La Corte ha già ricevuto più di 550 ricorsi da altri detenuti che sostengono di essere tenuti in celle dove avrebbero non più di tre metri quadrati a disposizione.I giudici chiamano quindi le autorità italiane a risolvere il problema del sovraffollamento, anche prevedendo pene alternative al carcere. I giudici domandano inoltre all'Italia di dotarsi, entro un anno, di un sistema di ricorso interno che dia modo ai detenuti di rivolgersi ai tribunali italiani per denunciare le proprie condizioni di vita nelle prigioni e avere un risarcimento per la violazione dei loro diritti.Inoltre l'Italia è stata condannata per il trattamento definito inumano e degradante dei detenuti ed anche al pagamento agli stessi di 99.600 euro in totale per danni morali, oltre a 1.500 euro ciascuno a Sela, El Haili, Hajjoubi e Ghisoni per le spese.Severino: sentenza che non mi stupisce«Sono profondamente avvilita ma purtroppo l'odierna condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo non mi stupisce». Così il ministro della Giustizia Paola Severino ha commentato la sentenza di Strasburgo sul sovraffollamento arcerario italiano. «In questi tredici mesi di attività- spiega- ho dato la priorità al problema carcerario: il decreto “Salva carceri”, il primo provvedimento in materia di giustizia varato un anno fa dal consiglio dei ministri e divenuto legge nel febbraio del 2012, ha consentito di tamponare una situazione drammatica». Il numero di detenuto presenti nelle carceri italiane è passato dai 68mila del novembre 2011 ai 65.725 di oggi. Pagano: investire sulle misure alternative al carcerePer Luigi Pagano, vice capo del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, la condanna di Strasburgo «rende ancora più impellente individuare le soluzioni idonee per affrontare l'emergenza sovraffollamento». E indica l'incentivazione delle misure alternative come una delle strade per affrontare seriamente la questione del sovraffollamento. Per Pagano, infatti, «non c'è solo un problema di celle e posti letto: occorre adeguare gli istituti al regolamento di esecuzione della legge penitenziaria varata nel 2000, che tra le altre misure prevede, ad esempio, docce nelle celle, spazi per attività e altro». Tecnicamente, fa notare Pagano, la cella è solamente il luogo di detenzione notturna: «La vita dei detenuti dovrebbe svolgersi all'esterno della cella, ed è quello che stiamo cercando di fare con il progetto dei circuiti carcerari. Oltre all'adeguamento strutturale, bisogna qualificare l'attività trattamentale, finalizzandola a pene e misure alternative».«La messa in prova, ad esempio, non è stata varata -ricorda Pagano- e sappiamo quanto il Guardasigilli Severino abbia sostenuto questo progetto. Occorrerebbe inoltre rivedere quelle norme che pongono dei limiti all'accesso a misure alternative».In definitiva, «sentenza di condanna o meno, è necessario un progetto globale che veda impegnati legislatore e amministrazione penitenziaria, ma per la sua realizzazione necessita anche del convinto contributo della società esterna. Si chiarisca una volta per tutte che carcere si vuole e cosa si vuole dal carcere...», taglia corto il vice capo del Dap.

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