giovedì 24 marzo 2016
Milano, «Se chiudiamo sarà peggio Il reclutamento è sul web»
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Dalle associazioni e dai centri di Milano arriva una condanna totale per gli attentati di Bruxelles. Il direttore dell’Istituto culturale islamico, Abdel Hamid Shaari, vive da 50 anni in città ed è un volto storico dell’islam ambrosiano: «Chi uccide nel nome di Allah non è musulmano», non si stanca di ripetere ogni volta che un attentato ferisce l’Europa. Eppure i terroristi uccidono gridando «Allahu Akbar» («Dio è il più grande»). «Bestemmiano – risponde Shaari – chiunque può appropriarsi di una frase e ripeterla. Con forza e nettezza diciamo che quei vigliacchi non sono musulmani, non hanno diritto di definirsi musulmani». Davide Piccardo, portavoce del Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano e Monza), ammette che, oltre la giusta ed esplicita condanna, è difficile trovare le parole per commentare «una spirale di violenza su scala globale che sembra crescere». Difficile per tutti, musulmani e non. Piccardo ricorda il lavoro delle 30 associazioni che aderiscono al Caim. «Combattiamo la radicalizzazione attraverso il lavoro educativo che svolgiamo durante l’anno. Dall’insegnamento nei sermoni ai corsi per i bambini e i ragazzi, dalle attività interreligiose in cui coinvolgiamo i nostri giovani alla promozione del volontariato in città».È il punto su cui insiste anche l’architetto Mahmoud Asfa, presidente della Casa della Cultura Musulmana di via Padova. «Spieghiamo ai ragazzi che frequentano il centro che l’islam è una religione di pace e questi atti di terrorismo non appartengono alla nostra fede». Asfa, che ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro ed è stato inserito nel comitato scientifico dei "Dialoghi di vita buona" dal cardinale Scola, risponde da via Padova, dove ha appena terminato la preghiera: «Anche oggi abbiamo pregato per le vittime del terrorismo». Venerdì, durante il sermone più importante, ripeterà la condanna per «la banda di criminali che usa la religione per i loro sporchi scopi». Continua: «Non conoscono il Corano: ne prendono un singolo versetto, lo strappano dal contesto e lo applicano per i loro fini. Ad esempio, in una sura è scritto "Combattete quelli che vi combattono", riferendosi al diritto di difesa in caso di occupazione. Gli estremisti lo decontestualizzano e urlano: "Combattete". Si potrebbe fare altrettanto anche con la Bibbia e altri Libri sacri».Gli esponenti dei centri islamici sottolineano che il pericolo non arriva dalle moschee. Anzi, proprio il lavoro educativo svolto dai centri può prevenire derive radicali: «Ripetiamo ai giovani di non cadere nelle trappole di siti Internet che propongono una versione falsa e violenta della religione». Al contrario, l’attrazione per la via violenta che affascina i combattenti stranieri avviene soprattutto via Internet, in solitaria. «Questi ragazzi – continua Asfa – fanno del bricolage religioso-identitario, individuano un nemico su cui sfogare la loro rabbia, vivono la loro avventura omicida come riscatto (anche mediatico), tenebrosa avventura, senso settario di appartenenza, delirio insurrezionale. Si tratta di figli di un’integrazione fallita, con un cattivo rapporto con la scuola e famiglie fragili, spesso senza il padre. Finiscono nel gorgo della delinquenza e alla fine vengono corrotti dai "cattivi maestri" del terrore». Infine, da tutti viene un appello ai non musulmani. «I terroristi – dice Asfa – vogliono che si dica che i veri musulmani sono loro: non cadiamo in questa trappola».
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