giovedì 28 marzo 2013
Sono passati dieci anni dalla morte di Carlo Urbani, l'infettivologo che riuscì a fermare il contagio della Sars. La malattia aveva contagiato 10mila persone in decine di Paese e fatto 900 vittime in pochi giorni. «Se di fronte alla malattia il medico scappa, chi resta?»
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​Sono passati dieci anni ma sembra un secolo. Era il marzo del 2003 e l’umanità tremava di fronte a un piccolo, sconosciuto nemico, contagiosissimo e mortale: il virus della Sars. Arrivato dalla Cina, si era diffuso in trenta Paesi, uccidendo centinaia di persone in pochi giorni. Tutto partiva da un hotel di Hong Kong dove aveva albergato Johnny Chen, uomo d’affari americano venuto dalla Cina: da quello stesso hotel i turisti partirono per tutte le direzioni, portando ognuno con sé in aereo il virus, che raggiunse simultaneamente l’Europa e il Canada... Anche l’ignaro Johnny Chen era ripartito da Hong Kong per il Vietnam, lì si era sentito male ed era stato ricoverato all’ospedale di Hanoi. «Evitate i luoghi affollati», allertavano tutti i governi, compreso quello italiano, invitando a disertare persino le chiese, i cinema, i ristoranti, e a non viaggiare se non per necessità impellenti. I nostri stessi supermercati vicino alle casse presero a vendere le mascherine e il panico divenne ingestibile. «Siamo di fronte a una pandemia», fu l’allerta diramato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), e allora fu chiaro a tutti che l’evento più paventato, cioè quell’epidemia di vaste proporzioni che ciclicamente colpisce l’umanità, alla fine era arrivata. Se non che... «Se non che proprio ad Hanoi, dove era ricoverato Johnny Chen, il primo caso noto, per caso c’era il medico marchigiano Carlo Urbani... – racconta Pascale Brudon, nel 2003 direttrice dell’Oms ad Hanoi –. Fu l’uomo giusto nel luogo giusto e nel momento giusto. Una coincidenza sorprendente, miracolosa per l’umanità». Carlo Urbani aveva 47 anni. Salvò il mondo dal contagio donando la sua stessa vita: sceso in trincea in assoluta solitudine nell’ospedale di Hanoi, isolò il virus, curò i medici che via via cadevano ammalati e organizzò i meccanismi di difesa per tutto il mondo. Era il 29 marzo quando morì, dopo essersi autoricoverato in isolamento all’ospedale di Bangkok, unica vittima italiana della Sars. Per paradosso, il virus che aveva stanato e sconfitto.Un caso, dunque, una coincidenza, come la definisce Pascale Brudon. O più propriamente la Provvidenza, la stessa alla quale lo scienziato Urbani faceva riferimento in ogni istante della sua vita. «Scappiamo in Italia», gli aveva chiesto la moglie Giuliana all’insorgere dell’epidemia, preoccupata come madre di tre bambini. «Se di fronte alla malattia il medico scappa, chi resta?», le rispose Urbani, che in tutti i 47 anni di vita, mosso da una fede certa e serena, si era «chinato» su ogni persona ammalata con l’atteggiamento del samaritano. «Il medico deve prima di tutto prescrivere se stesso», ripeteva come presidente nazionale di Medici senza Frontiere, spronando i colleghi a non esercitare la professione da dietro una scrivania ma a essere missionari dove «povertà e malattia si generano a vicenda» e l’orrore delle guerre «fanno della dignità umana un sanguinante misero fardello». Per questo aveva accettato di lasciare le Marche e la vita agiata per lavorare in Africa, nella Cambogia terrorizzata dai Khmer Rossi, e infine in Vietnam, inviato dall’Oms a coordinare le politiche sanitarie in tutto il Sud-est asiatico contro le malattie parassitarie. Due le sue forze: l’amore per una famiglia che lo seguiva ovunque e la preghiera. «Se c’è un mutilato – scrisse andando a Oslo a ritirare il Premio Nobel per la Pace per Medici senza Frontiere – gli occhi del chirurgo sono sulle ferite, ma quello sguardo poi va alzato», perché il medico cura anche le ferite dell’anima.In questo Anno della Fede la sua figura è tuttora testimonianza viva, ma se la comunità scientifica internazionale lo sta ricordando è perché la sua azione contro la Sars è considerata la «prova generale» per un prossimo futuro: quando la prossima pandemia arriverà, l’umanità sarà pronta a rispondere contro i virus del mondo globalizzato, che oggi viaggiano in aereo e in poche ore si diffondono tra i continenti. Potrebbe essere tra anni o prestissimo: nel 2003 la presenza di Urbani ad Hanoi ha interrotto il ritmo, forse «saltando» una pandemia, forse solo ritardandola. «Non si può abbassare la guardia – dice Ilaria Capua, virologa di fama mondiale riconosciuta tra i primi 50 ricercatori –, proprio in questi mesi il mondo è di nuovo in allerta per un nuovo virus molto simile a quello della Sars, che ha già fatto le prime vittime in Medio Oriente e in Inghilterra. Saper reagire con immediatezza significa salvare milioni di vite, come successe con la Sars: di infettivologi esperti ce ne sono tanti, ma ciò che contraddistingue Urbani è un coraggio che, associato alla competenza, è diventato una miscela dalle conseguenze indimenticabili. In futuro dovremo applicare esattamente ciò che ha fatto lui». «Il suo vero contributo scientifico è nel campo delle malattie parassitarie, quelle che uccidono a milioni i bambini africani e asiatici per diarrea. È lì che è stato gigantesco, anche se i media lo ricordano solo per la Sars, che è stato l’evento fortuito – nota da Ginevra Antonio Montresor, medico dell’Oms –. Se Johnny Chen fosse stato ricoverato a Ho Chi Minh anziché ad Hanoi, Carlo non lo avrebbe incontrato e chissà che piega avrebbe preso il contagio. Ha seguito la sua intuizione e con fiuto ha capito che si trattava di qualcosa di nuovo e pericoloso isolando subito il virus, e questo non è da tutti». «La battaglia vittoriosa contro la Sars tornerà certamente utile quando si presenterà un’ennesima sfida pandemica», conferma Giovanni Rezza (Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità) ed è per questo che il mondo non dimentica, come in questi giorni ha scritto Kevin Fong su The Observer: «Nel 2003 Urbani ha impostato il modello con cui le future epidemie potranno essere contenute con successo. In questo decennale merita la gratitudine che il pianeta gli sta tributando». L’Italia gli ha dedicato un tweet. Dell’ex ministro Giulio Terzi.
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