mercoledì 23 luglio 2014
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Si rinnova il pellegrinaggio degli Alpini in Adamello. Sul ghiacciaio più esteso d’Italia saliranno contemporaneamente dal versante bresciano e da quello trentino, partendo nella notte tra il 25 e il 26 luglio. Così fanno da 51 anni, nel ricordo di tutti coloro che lì caddero nella furia della prima guerra mondiale scoppiata proprio un secolo fa. Ma da 30 anni esatti, questo evento che impregna la memoria di preghiera perché trasudi un futuro di pace e fratellanza, è indissolubilmente legato a un “grande” della Chiesa: Giovanni Paolo II, che il 16 e il 17 luglio salì tra quelle nevi perenni in compagnia di Sandro Pertini. E che lì, ospite del rifugio “Ai Caduti dell’Adamello”, sciò e pregò. Generando un evento prima d’allora mai visto dalla storia.

(Foto Associazione Nazionale Alpini) Tra quelle nevi perenni il Pontefice fece ritorno 4 anni dopo, nel luglio 1988: lo fece per benedire il grande altare di granito che gli Alpini eressero in ricordo della sua prima visita. Ecco allora perchè proprio a Karol Wojtyla è dedicato il pellegrinaggio 2014, che ad anni alterni viene organizzato dalle Penne nere delle sezioni di Trento (in lizza quest’anno) e Vallecamonica. Una scelta doppiamente significativa: per la prima volta, gli Alpini salgono infatti in Adamello nella certezza non solo di ricordare il “Papa montanaro”, ma anche di poter venerare il Papa santo. Ufficialmente canonizzato lo scorso maggio insieme a Giovanni XXIII. “Sul ghiacciaio – anticipa l’arcivescovo di Trento, Luigi Bressan – sabato benedirò un cero che il cardinale Giovanni Battista Re, di origini camune, porterà poi sulla tomba di Giovanni Paolo II”. La Messa è prevista alle 11, ovviamente all’”Altare del Papa”. Dopo pranzo la discesa, e nel tardo pomeriggio il trasferimento a Tione di Trento: lì, nel centro che fa da spartiacque tra Rendena, Giudicarie e Valle del Chiese, fino al giorno seguente sarà un susseguirsi di eventi in stile alpino. E proprio la salita all’altare dell’Adamello, nella memoria del Papa santo, ci suggerisce un itinerario virtuale tra gli altari barocchi lignei dell’alta Valcamonica. Quelli stessi che Virtus Zallot, docente di storia dell’arte all’Accademia Santa Giulia di Brescia, ha presentato l’anno scorso nel suo “Sculture d’artificio” (Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori, € 20, pp. 221): un progetto sostenuto dal Distretto culturale di Valle Camonica. Ecco allora che il nostro pellegrinaggio virtuale non parte da Temù, dove inizierà il cammino degli Alpini bresciani, ma da Cedegolo. E’ da lì che ora, nel segno degli altari, saliamo fino all’”Altare del Papa” elevato agli onori degli altari.

Come il pellegrinaggio, anche la chiesa di San Girolamo a Cedegolo fonde in un’unica lode a Dio Brescia e Trento: il suo altare del XVII secolo è opera del camuno Pietro Ramus, ma la centralità dell’Eucarestia che la sua visione prospettica esalta trova ispirazione nella concezione liturgica post-tridentina. Scrive Zallot: “Il tabernacolo, che emerge compatto e dorato sullo sfondo colorato della pala, contrasta con la vibrazione del paliotto e dell’ancona, le cui superfici sono mosse dai rilievi dorati e policromi dei personaggi, delle scene scolpite e della fitta ornamentazione. Si forma pertanto uno straordinario e scenografico fondale che contiene ed enfatizza l’Eucarestia, punto di fuga spaziale a cui tutte le direttrici visive e longitudinali si dirigono e convergono”.

E’ firmato “Gio. Batt. Zotti, 1701” l’altare della chiesa di San Maurizio a Incudine. La sua ancora lignea ben può considerarsi “di grande interesse e straordinario impatto visivo per l’originale e alta qualità della stesura decorativa, per l’anomalo impianto iconografico e per la presenza di un ricco repertorio di angeli e putti, comunicanti un senso di corale partecipazione alla liturgia e alla teofania divina”. Davvero un peccato che nel XIX secolo la mensa ormai logora sia stata sostituita con una in marmo, e soprattutto che nel 1983 mani ignote abbiano trafugato il prezioso tabernacolo. “Oggi – si duole Zallot – ne rimane soltanto il secondo ordine sconsolatamente vuoto”.

Venerano Dio attraverso il patrocinio di Remigio, gli abitanti di Vione. E si immergono in un riflesso del suo splendore contemplando i 3 dei 4 altari che ancor oggi ornano la chiesa. Fu “Josefo Bolgari di Brescia intagliatore”, come recita l’archivio parrocchiale, a realizzare nel 1619 l’ancona dell’altar maggiore: opera che nelle parole della storica dell’arte “sviluppa un doppio ordine a tutta ampiezza, senza il consueto restringimento piramidale dell’attico”. Nasce invece per custodire le reliquie di otto martiri provenienti dalle catacombe romane, donate alla chiesa nel 1678, la tribuna di Clemente Buccella: un’ “imponente struttura unitaria e compatta”, con tabernacolo e vani per i resti mortali dei santi sviluppati su due piani e culminanti con una cupoletta. Ultima realizzazione in ordine di tempo, il paliotto attribuito a Domenico Ramus e Battista Zotti: “E’ tripartito da cariatidi interpretate dalle statue degli evangelisti – così lo descrive Zallot -, poggiate su colonne tronche”.

La docente dell’Accademia di santa Giulia ricorda che nel 1671 il paese contava solo 466 anime, ma nonostante l’esiguità numerica la comunità aveva impreziosito la chiesa di san Bartolomeo con un “maestoso altare maggiore e di pregevoli altari laterali”. L’opera principale è scaturita nel 1686 dallo scalpello di Domenico Ramus, che chiamò a collaborare gli orafi Antonio Polonioli di Cimbergo e Giorgio Giorgi di Edolo. L’ancona è dominata da “un ordine di colonne binate”, che presentano i simboli eucaristici dei “tralci di vite” e delle “corolle di frutta”, mentre il tabernacolo “è una piccola e complessa architettura a (finta) pianta centrale”. Il libro di Zallot proseguirebbe ora fino a Ponte di Legno. Ma noi, sulle orme degli Alpini, lasciamo la strada e saliamo verso il ghiacciaio. I nostri passi calcano quel sentiero che la famiglia Zani percorse fino al 2011, quando dopo 33 anni lasciò la custodia del rifugio. Furono Martino e Carla con i figli Lino e Franco ad accogliere il Pontefice, invitato dall’amico Gianluca Rosa di Spiazzo (Trento). Ancora una volta in questa storia Lombardia e Trentino si abbracciano, quasi sembrano chiedersi scusa del sangue di 100 fa. E sulle cime dell’antico confine Italo- Austriaco, invocano ora fratellanza e pace.

(Foto Associazione Nazionale Alpini) Ecco “l’Altare del Papa”, issato sul Passo della Lobbia Alta: il centro focale, il compimento del pellegrinaggio. Settanta quintali di granito donati dalla laboriosa determinazione degli Alpini, il luogo del sacrificio di Cristo nel luogo in cui sacrificarono la vita di migliaia di soldati. Lo consacrò Giovanni Paolo II il 16 luglio 1988, di nuovo al cospetto di quelle cime: “Qui – disse nell’omelia – tra gli spazi sconfinati e nel silenzio solenne delle cime, si avverte il senso dell’infinito!”. E dopo aver fatto discendere il suo “sguardo verso le valli” e il suo “pensiero” alle genti “che le popolano”, la sua preghiera si è levata “per tutti i combattenti che, settant’anni fa, su questi aspri gioghi alpini, furono feriti o andarono incontro alla morte, invocando la pace”. Infine pregò la Vergine, il 16 luglio invocata con il titolo di “Madonna del Carmine”: “Guarda con amore, o Vergine Maria, i poveri, i sofferenti, i giovani, speranza del domani”. E sempre alla Madre di Dio dedicò il suo ultimo pensiero, prima della benedizione conclusiva: lo fece ricordando che Maria, dopo aver concepito per opera dello Spirito Santo, si mosse verso la montagna per incontrare la cugina Elisabetta. Ecco “La Madonna delle Montagne”, scandì dall’altare il Papa sugli altari.

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