martedì 17 aprile 2012
Il villaggio di Mineo, in Sicilia, nel mirino per nuove polemiche. Un medico: «Siamo a conoscenza di prostituzione e abusi». Nel 2012 su 32 interruzioni di gravidanza nel comprensorio 7 riguardavano donne della struttura per richiedenti asilo.
L'EMERGENZA Quei figli negati. Allarme immigrate
IL VESCOVO Peri: «Prego per i bambini non nati»
IL GESTORE «È vero, assistenza da migliorare»
COMMENTA E CONDIVIDI
​Venne presentata come una <+corsivo>Disneyland<+tondo> per extracomunitari: villette, aree giochi, comfort e qualche lusso. Ma ora dal Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania) si levano le voci di chi non ci vede chiaro. Solo nei primi tre mesi del 2012, sulle 32 interruzioni volontarie di gravidanza avvenute nel comprensorio, 7 riguardavano donne migranti. Ancor più grave sarebbe se questi episodi fossero collegati «ai casi di prostituzione e di violenze di cui tanti sanno», denuncia un medico.La percentuale di gravidanze interrotte (confermata da fonti sanitarie), è altissima se si pensa che l’ospedale "Gravina" di Caltagirone serve un bacino di oltre 200mila assistiti, mentre al Cara sono ospitate circa 1.800 persone, meno di 600 le donne.Non dev’essere un caso se domenica, visitando le quattrocento case del villaggio degli immigrati, monsignor Calogero Peri ha invocato «la tutela della dignità della donna e della vita». «I più deboli, pagano sempre i costi più alti. La vita – ha esortato il vescovo di Caltagirone – sia tutelata dal suo concepimento alla sua fine». Perciò il presule siciliano ha invitato a pregare «per i tanti bambini non nati, e per i numerosi giovani che hanno concluso la loro esistenza in terra straniera». Nell’ultimo anno si sono contati due decessi a seguito di «problemi di salute» e un ragazzo è finito in coma dopo una violenta scazzottata. Le storie più allarmanti riguardano le donne in gravidanza. Michele Giongrandi, ostetrico nel nosocomio di Caltagirone e presidente dell’organizzazione non governativa Cope, conserva memoria di ogni episodio anomalo. L’ultimo è di pochi giorni fa: «Un’immigrata è stata accompagnata al pronto soccorso. Si è scoperto che era già alla 44esima settimana di gravidanza», ben due oltre il termine. «Purtroppo la bambina – spiega Giongrandi –. Era già morta». Le donne «andrebbero portate in ospedale periodicamente e – insiste l’operatore sanitario – andrebbero inquadrate in un percorso diagnostico di accompagnamento al parto. Ma poi, regolarmente, arrivano in sala parto donne di cui manca ogni riferimento clinico».Qualche tempo prima era arrivata una telefonata insolita. «Stavano accompagnando quattro donne, tutte insieme per chiedere l’interruzione della gravidanza. Quando è stato chiesto come fosse possibile – racconta l’ostetrico –, la risposta di un operatore del Cara è stata disarmante: "Purtroppo non ci arrivano i profilattici". Ma possibile, mi domando, che si pensi di affrontare una questione come questa solo distribuendo preservativi?».Quali problemi si intreccino dietro una vita non nata, in questi casi nessuno sa dirlo con esattezza. Certe domande, però, bisogna farsele. «So che ci sono episodi di abusi, di violenze – denuncia Giongrandi –. Ma se capitano, vengono nascosti. Sappiamo anche che all’interno del centro vi sono donne che si prostituiscono per quattro soldi. Le situazioni poco chiare, insomma, non mancano».La conformazione del Cara rende difficile la sorveglianza metro per metro. Una volta quello era il villaggio dei <+corsivo>marines<+tondo> americani di stanza nella base di Sigonella. Controllare cosa accade nel perimetro di ogni singola villetta è impossibile, e sarebbe perfino invasivo. «Purtroppo – si lamenta un operatore del Cara, che chiede l’anonimato – viene rifiutato l’accesso a tante associazioni di volontariato che, senza far elevare i costi di gestione, potrebbero darci una mano nel migliorare la qualità della vita degli ospiti e la prevenzione di violenze e disagio».Al vescovo Peri sono bastate sei parole per definire questa condizione: «Esistenze sospese in un futuro incerto». Argomento che ha dato impulso ad altre denunce. «A concorrere al drammatico logoramento psicologico dei richiedenti asilo – commenta Margherita Marchese, presidente dell’Azione cattolica diocesana – , sono la segregazione e l’isolamento del Cara rispetto alla realtà urbana di Catania (distante oltre 40 Km) e al comune di Mineo (a 11 km)».Agli «ospiti» resta un paesaggio «che immobilizza e svuota le esistenze, una "prigione di arance" che circonda il campo e in un certo modo – insiste Marchese – rimarca la sua distanza da ogni altro luogo».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: