martedì 8 marzo 2016
Beni confiscati. Ciotti: una palestra di cittadinanza
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«In questi 20 anni i beni confiscati sono diventati luoghi di dignità e di lavoro», però «il cammino è ancora impegnativo, ma essenziale se vogliamo davvero colpire alla radice il potere delle mafie e della corruzione». Per questo è importante «impegnarsi perché in Senato si approvi la riforma votata alla Camera lo scorso novembre, il cui testo contribuirebbe a risolvere molti problemi». Così il presidente di Libera, don Luigi Ciotti analizza storia e prospettive della legge promossa nel 1996 proprio dall’associazione. E respinge le accuse di sfruttare questi beni. «Accuse ingiuste e infondate. Libera non è infallibile ma è pulita». Don Luigi, come nacque l’idea di quella legge? Non funzionava, o non era abbastanza forte, il coinvolgimento sociale. Occorreva rispondere alle mafie con concretezza e continuità, impedire il riproporsi della rassegnazione, scalfire l’idea che delle mafie dovessero occuparsi solo la magistratura e le forze di polizia. Bisognava colmare un vuoto culturale e al tempo stesso dare un segnale alla politica, che fino allora era stata - salvo eccezioni - inerte, distratta o complice. La petizione popolare nasce con l’intento di svegliare le coscienze e di saldare il contrasto alla criminalità con l’impegno sociale. La 109 'arricchisce' il sogno di Pio La Torre, trasformando i beni confiscati in beni comuni. Dopo 20 anni quali i risultati positivi? Sono molti ed evidenti. In tante regioni i beni confiscati sono diventati luoghi di dignità e di lavoro. È proprio per sottolineare il valore etico, sociale e culturale di questo percorso che abbiamo voluto ricordare il ventennale aprendo più di 150 realtà. Un’occasione, offerta ai cittadini, di percepire la speranza che si fabbrica in quei luoghi. Cosa va migliorato? L’Agenzia nazionale va rinforzata, anche in termini di organico. Bisogna dotare i giudici di più efficaci strumenti operativi in fase giudiziaria. Attuare e definire un Albo degli amministratori giudiziari, con norme vincolanti riguardo la nomina, la rotazione e i tetti salariali. Dotare le amministrazioni di mezzi adeguati per monitorare e assegnare i beni. Un’attenzione particolare va poi rivolta al nodo cruciale delle aziende, di cui urge, tra l’altro, una più attenta verifica per impedire che si rivelino scatole vuote destinate alla liquidazione. Segni positivi vengono dalla campagna 'Impresa bene comune', che abbiamo promosso per sollecitare la parte più lungimirante dell’imprenditoria nazionale a prendersi carico del problema. Quale è stato il ruolo del mondo cattolico? Un ruolo fondamentale. Del resto buona parte delle 1.600 realtà associate a Libera sono espressioni di un cattolicesimo calato nel mondo e nella storia delle persone, che vive il Vangelo non solo come fondamento della dottrina, ma come strumento di liberazione dalle ingiustizie, dalle violenze e quindi dalle mafie. Quanto alla Chiesa, un segno importante è il 'Progetto Policoro', ideato e voluto da don Mario Operti, sostenuto con forza da monsignor Galantino, incoraggiato da Papa Francesco con parole importanti. E che ha incontrato nel Sud tanti giovani orfani di speranza e di lavoro, e con cui Libera collabora da anni. Beni confiscati e educazione. Beni confiscati e lavoro. Sono facce di una stessa medaglia. I beni confiscati sono sia palestre di cittadinanza sia occasioni di occupazione. Penso alle scuole, ai centri di aggregazione, o ai 'campi' estivi nelle cooperative, dove ragazzi di tutta Italia passano parte dell’estate per imparare e per vivere il linguaggio del bene comune. È un modo per allenarsi alla vita, per 'farsi le ossa' come cittadini responsabili. Oppure penso ai tanti giovani che attraverso i beni confiscati e il loro 'indotto' hanno trovato, col lavoro, il modo per difendere terre che amano e che non accettano di vedere sottomesse ai poteri criminali e ai loro complici. L’anniversario arriva in un momento di accuse a Libera di sfruttare i beni confiscati. Sono accuse ingiuste e infondate. Primo: Libera ha in diretta gestione solo 5 beni confiscati: quello di Roma e altri 4 piccoli appartamenti, sedi regionali. Secondo: sono più di 500 le realtà del sociale che gestiscono i beni confiscati in tutta Italia. Terzo: buona parte dei beni è destinata a comuni, enti, amministrazioni. Parlare di monopolio, o di 'holding', vuol dire ignorare come stanno le cose, o peggio, falsificarle. Ma qualche errore è stato fatto? Libera non è infallibile, ma è pulita. Nessuno ha mai sottratto un euro, nessuno lo ha destinato per finalità che non fossero sociali. Siamo stati i primi a denunciare l’antimafia di facciata, l’antimafia come 'foglia di fico' di interessi privati, di potere o persino illegali. Allora ben vengano le critiche, ma che siano documentate e costruttive. Altro conto sono le illazioni, le distorsioni, le diffamazioni. Quelle non le accetto. Non tanto per me, ma per le tante persone - penso soprattutto ai giovani e ai familiari delle vittime delle mafie - che in Libera hanno trovato un riferimento e una speranza.
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