mercoledì 7 gennaio 2015
​Accoglienza dei migranti e sostegno ai disabili. Una casa "dopo di noi" per i portatori di handicap. Il sogno raddoppia con una nuova struttura a Genzano.
Profughi dal mondo rinati in seminario
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Si guardano intorno. Occhi sgranati. Risate, battute, quasi, a tratti, emozioni da... tenere a bada. Poi il taglio del nastro, poi tutti di fronte alla statua della Madonna per portarle due gran mazzi di fiori e chiederle di 'vegliare' su loro e questa casa. Inaugurata ieri, a Genzano, in fondo al corso principale della cittadina castellana. Casa Anna Maria, si chiama. Dove vengono a vivere insieme donne e uomini e ragazzi disabili e non. Da quattro anni ne esiste già un’altra, poco distante da qui, sempre ai Castelli romani, a Grottaferrata, la casa famiglia Milly e Memmo, e adesso don Franco Monterubbianesi (ottantatré anni e mezzo), che fondò la Comunità di Capodarco, è riuscito a raddoppiare, realizzando un sogno che inseguiva da un paio di anni almeno. E che serve a concretizzare ancor più il suo progetto del 'Dopo di noi' nella diocesi guidata da monsignor Marcello Semeraro.  «La scommessa è grande e la facciamo tutti insieme», dice Giovanni Cantalupo, il coordinatore di Casa Anna Maria. È diretto, don Franco: «Tutti insieme e tutti d’accordo per costruire, a partire da questa casa, un nuovo modello di società più umana, nella quale i disabili possano contare sui loro valori e insieme ai giovani». Il principio sarà lo stesso della Casa Milly e Memmo, così come lo racconta la responsabile, Ylenia Gumina: «Qui dentro la prima cosa che si fa è accogliere le persone, chiunque abbia una difficoltà chiunque abbia un problema». E come lo spiega anche Simona Ciocca, che è responsabile del progetto: «Si vuole bene alle persone, perché il rapporto con le persone dev’essere autentico oppure non funziona».  I ragazzi disabili «qui devono trovare ragione di vita», racconta don Monterubbianesi, ed «anche un lavoro, perciò non ci saranno solo gli 'accolti' all’interno, ma anche quelli dall’esterno, che verranno per cercare di trovare il lavoro». Insomma, realizzato un sogno, ne rimangono parecchi. «Coinvolgere il territorio, le famiglie – continua Cantalupo –, facendo così un’azione che parta dal basso per cercare di cambiare la situazione assistenziale».  Un magnifico giardino con palmette, alberi e un mare di kiwi, un campo di calcetto, quella piccola statua bianca della Madonna, milleseicento metri quadrati su tre piani che andranno ristrutturati pian piano, ma decisamente, un piccolo teatrino e due locali nei quali don Franco sta già allestendo un laboratorio per la formazione professionale. Perché «oltre alla ragione di vita, i ragazzi qui devono trovare dignità» e questa «passa per il lavoro». Non c’è fretta, ieri è stata aperta una piccola parte della struttura, con un grande applauso e tanta gente al taglio del nastro, poi toccherà a tutto il resto.  Sono giorni che il cielo viene spazzato dal vento, così dalla terrazza si vede bene il lago di Nemi da una parte e dall’altra il Tirreno. Stamani sono venuti tanti amici di Capodarco, nonostante fosse l’Epifania. Anche monsignor Vincenzo Apicella, vescovo di Velletri e delegato regionale per l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, che ha concelebrato la Messa con don Monterubbianesi. «Puntiamo molto sui giovani», insiste don Franco. Ma non solo: «Affidare Casa Anna Maria alla Madonna non è certo casuale, vorremmo che le donne diventassero protagoniste del cambiamento sociale», magari «partendo proprio da questa casa famiglia, grazie alla quale le donne e le famiglie possono trovare un’esemplarità di azioni e quindi sviluppare i valori della famiglia stessa, dell’accoglienza, della condivisione». Diego (nome di fantasia, ndr) ha quasi diciassette anni e fra qualche tempo verrà qui anche lui: «Mi piace tanto qui, mi piace il posto, tutto, ci verremo con certi ragazzi disabili gravi e mi piace anche questo », dice, mentre un sorriso gli accende proprio e un bel po’ il volto...
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