mercoledì 14 gennaio 2015
​Da anni le cosche ioniche sono sospettate di essere entrate in affari con i trafficanti, a cui garantire appoggi logistici dallo sbarco al viaggio via terra negli altri Paesi Ue. (di Nello Scavo) VAI AL DOSSIER
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Nella notte di Adana il profilo scintillante dell’avveniristico hotel americano illumina l’indistruttibile ponte romano a ventuno arcate, voluto dall’imperatore Adriano per collegare Anatolia e Persia. Come allora gli affari che contano passano da qui. A cominciare dal traffico di esseri umani. Un business al quale, secondo varie fonti investigative, non si sottraggono le mafie italiane. È la ’ndrangheta a vantare appoggi importanti in Turchia. E i principali sospettati sono gli emissari delle cosche ioniche, come la potente famiglia Iamonte di Melito Porto Salvo. Più volte in questi giorni, da Mérsin ad Adana, i pochi disposti a parlare hanno fatto riferimento ad «amici in Italia». Appoggi logistici necessari per organizzare le trasferte dei profughi verso le destinazioni europee. Con il supporto di mediatori italiani che avrebbero avuto un ruolo nel passaggio di proprietà di alcuni dei cargo poi adoperati dai trafficanti basati nel porto di Mérsin.  La mafia turca, naturalmente, non risulta estranea a questo business anche se, secondo gli ambienti investigativi locali, questo coinvolgimento si registra soprattutto in concomitanza con trasferimenti massicci di migranti, quando il guadagno è considerevole e può sfiorare i sei milioni per ogni carico di rifugiati.  Sebbene le modalità operative si stiano modificando, preferendo navi mercantili ai tradizionali pescherecci, fonti investigative italiane fanno notare che «da molti anni partono dalla Turchia imbarcazioni cariche di profughi e la novità, casomai, può essere quella dell’incremento apprezzabile di persone, passate dalle 1.699 del 2012, alle 2.077 del 2013, alle 9.544 del 2014, con un numero di sbarchi che furono 26 nel 2012, aumentato a 55 nell’anno da poco trascorso». C’è stato, poi, un periodo, dall’estate del 2010 al 2012, in cui i trafficanti turchi «hanno fatto ricorso a velieri o lussuosi yacht battenti bandiera americana o francese per trasportare sotto coperta, siriani, afgani, pachistani e indiani in grado di pagare adeguatamente un viaggio più sicuro », ricorda l’ex questore Piero Innocenti, tra i massimi esperti di tratta degli esseri umani e tra i primi a scoprire la connessione turca.  Gli analisti stanno studiando tutte le rotte seguite dai barconi in questi ultimi mesi. E balza agli occhi l’aumento degli sbarchi sulle coste calabresi. Mezzi della marina e navi mercantili dirottate per operazioni di soccorso sono intervenuti nel 2014 per 479 volte.  Che la situazione stesse peggiorando sul versante ionico negli ultimi tempi, era stata la Direzione centrale dell’immigrazione a evidenziarlo, richiedendo meno di un mese fa una maggiore collaborazione alle autorità di polizia turche. Anche le autorità europee più volte nelle settimane scorse hanno invocato maggiore collaborazione dai colleghi di Ankara, accusati di lasciar fare i trafficanti, lungo le medesime rotte terrestri battute dai militanti islamici radicali. Il capo dei servizi segreti turchi (Mit) Hakan Fidan ha affermato che Ankara ha espulso negli ultimi anni 1.056 stranieri e ha decretato un divieto di ingresso sul proprio territorio per altre 7.833 persone, sospettate a vario titolo di partecipare ad attività militari o di finanziamento delle sigle islamiste che combattono in Siria e Iraq. Una risposta giudicata evasiva, visto che non entra nel merito della tratta e delle possibili connessioni tra islamisti, mafiosi turchi e clan italiani.
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