domenica 16 ottobre 2016
​Inchiesta di Avvenire sul mondo della sanità. ​Gli infermieri italiani sono troppo pochi: in media devono assistere 12 pazienti per volta. Servirebbero almeno 47mila nuove assunzioni.
Sanità, infermieri costretti al super-lavoro
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Due infermieri ogni cento che mancano all’appello non giustificano denunce come quella arrivata in redazione da una città del Piemonte: una lettrice ci racconta di «laureate in scienze infermieristiche che non riescono ad inserirsi negli ospedali a causa del blocco delle assunzioni» e di infermiere sulla cinquantina «che lavorano negli ospedali e sono stremate dalla fatica, con vite famigliari spesso dissestate anche a causa dell’eccessiva gravosità del loro lavoro». In altre parole, il deficit assistenziale e terapeutico che si nasconde dentro le statistiche ufficiali avrebbe dimensioni ben più importanti dei numeri, peraltro molto chiari, che sono stati diffusi negli ultimi anni dalle rappresentanze del settore e le conseguenze reali sono talmente gravi da poter essere calcolate addirittura, secondo studi internazionali, con un possibile aumento della mortalità dei pazienti.  Numeri e conseguenze che - come vedremo non saranno ribaltati dalla manovra annunciata ieri, che prevede la stabilizzazione di 4.000 precari e, attraverso il blocco del turn over, l’assunzione di qualche migliaio di nuovi infermieri a fronte di un fabbisogno che va da 18.000 a 47.000 dipendenti in più. Due infermieri ogni cento.  Partiamo dalla situazione attuale: gli infermieri dipendenti dal Servizio Sanitario Nazionale nel 2014 erano poco meno di 270.000. Abbiamo parlato di due infermieri ogni cento, perché è del 2,21% la diminuzione della forza lavoro occorsa tra l’ultimo contratto, firmato nel 2009, e il 2014, l’ultimo anno in cui sono disponibili dei dati ufficiali. In realtà, secondo uno studio della Federazione nazionale Ipasvi, che riunisce i collegi infermieristici - studio che è stato condotto sui dati della Ragioneria generale dello Stato -, ci sono delle Regioni, come la Calabria, in cui le perdite ammontano a sette volte tanto (-16,31%) e altre dove l’organico invece è cresciuto, in media dello 0,83. Il computo peggiora se si considera il part time, che è particolarmente diffuso, e sottrae il 10% del personale, gravando soprattutto sulle Regioni 'ricche', laddove quelle in piano di rientro, già in sofferenza d’organico, tendono invece a non concederlo. Una montagna di straordinari. Queste ultime regioni, peraltro, sono anche quelle che ingigantiscono il monte delle ore di straordinario, che nel caso degli infermieri italiani è già imponente e va a compensare la riduzione delle retribuzioni, la quale tra il 2011 e il 2014 è stata di 70 euro pro capite; un sacrificio cui va sommata la perdita di potere d’acquisto, che secondo le analisi degli operatori del settore è stata del 25% tra il 2011 e il 2015. Anche in tal caso, tuttavia, la media non aiuta a capire la sperequazione che caratterizzerebbe l’attività infermieristica: ci sono regioni, come la Liguria, dove l’infermiere prende 664 euro meno della media nazionale e altre, come la Campania, dove incassa 478 euro in più, sempre in relazione al differente carico degli straordinari. Questi ultimi, peraltro, aumentano in tutte le Regioni ma più sensibilmente in quelle soggette a piani di rientro e quindi a blocco dei turn over: in Campania e nel Lazio coprono il 4,5% della retribuzione media. Un rapporto squilibrato. Secondo l’Ipasvi, una «controprova dell’insufficienza degli organici infermieristici in alcune Regioni deriva anche dall’analisi del rapporto numerico tra medici (calati anch’essi nei cinque anni di circa 4.900 unità) e infermieri che dovrebbe essere in misura ottimale di 1 a 3 per coprire le esigenze di servizio h24 e che in media nel 2014 era di 2,5 infermieri per medico. Tra le Regioni a statuto ordinario, è conforme a questo valore solo il Veneto (Regione benchmark 2016, rapporto 3,1). Sono compresi tra il 2,5 e i 3 infermieri per medico Emilia Romagna (tra le cinque Regioni scelte per il benchmark 2016, rapporto 2,9), le Marche (benchmark 2016, rapporto 2,8), il Lazio, la Liguria, la Lombardia (tra le cinque Regioni scelte per il benchmark 2016, rapporto 2,7), il Molise, il Piemonte, la Puglia, la Toscana, l’Umbria (benchmark 2016, rapporto 2,7). Si collocano al di sotto della media nazionale le altre Regioni con la punta più bassa tra quelle a statuto ordinario in Sicilia (1,9) Calabria e Campania (2)…» Per ripristinare l’equilibrio perduto quasi ovunque servirebbero poco meno di 18.000 dipendenti e per raggiungere la piena efficienza secondo gli standard europei dovrebbero essere assunti 47.000 infermieri. Le conseguenze sul paziente. Quelli che riferiamo non sono soltanto numeri. Secondo uno studio inglese del 2011 il tasso di mortalità negli ospedali scende del 20% quando ogni infermiere ha in carico un numero di pazienti pari o inferiore a 6, rispetto a quando ne ha in carico 10 o più. In Italia, oggi, sono ricoverati in media 12 pazienti per ogni infermiere e se dovessero essere assunti i suddetti 47mila infermieri si avrebbe un calo medio di due pazienti per infermiere. Non va sottaciuto che i turni infermieristici sono anche una questione di impegno fisico, che si complica con l’avanzare dell’età e il già citato blocco del turn over. La letteratura scientifica attesta infine che turni di 12 ore - rispetto a turni di 8 -, che sono molto diffusi perché comportano una riduzione dei costi per le aziende sanitarie, si associano a tassi più elevati di errori terapeutici. Finora a evitare che questi errori avessero un esito fatale ci hanno pensato i professionisti che lavorano nel nostro Servizio sanitario, ma oltre certi limiti non si può andare. Anche per questo, l’Ipasvi invoca il nuovo contratto.
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