mercoledì 24 agosto 2016
Disposti i domiciliari per i tre maggiorenni che hanno aggredito i minorenni egiziani. Contraddizioni nel loro racconto e nessun riscontro. L'ordinanza del gip parla di "discriminazione razziale". Nello Scavo
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Il parroco di San Cono è intervenuto dopo l’episodio di grave violenza nella quale tre minorenni egiziani sono stati mandati al pronto soccorso da cinque maggiorenni del posto. Uno dei ragazzini, di sedici anni, dopo giorni di coma ieri ha ripreso conoscenza e le sue condizioni sono in miglioramento, sebbene abbia manifestato difficoltà motorie.

Intanto sono stati trasferiti agli arresti domiciliari, con l'obbligo dell'uso del braccialetto elettronico, i tre italiani accusati di avere pestato con colpi di mazze da baseball quattro minorenni egiziani, due sedicenni e due diciassettenni, il 20 agosto scorso, a San Cono, nel Catanese. Lo ha deciso il Gip di Caltagirone, Ettore Cavallaro, che non ha convalidato il fermo eseguito dei carabinieri, non ritenendo sussistenze il pericolo di fuga, ma ha emesso un'ordinanza restrittiva nei confronti di Antonino Spitale, di 18 anni, e i fratelli Giacomo e Davide Severo, di 32 e 23 anni. I reati contestati sono tentativo di omicidio e lesioni aggravati dai futili motivi e dalla discriminazione etnica o razziale nei confronti di "non appartenenti al paese" di San Cono.

Nel messaggio ai fedeli - che pubblichiamo integralmente di seguito - don Dario Curcio ha vergato con i toni della misericordia e il coraggio della verità, esprimendo vicinanza “a quanti stanno vivendo sofferenze in conseguenza dei drammatici eventi: partecipo al dolore di tutti, senza distinzioni di sorta”. Ma il sacerdote non si nasconde che i fatti hanno “ferito e diviso profondamente le coscienze della comunità”, per sua indole “accogliente e pacifica, sempre ben disposta al dialogo e alla integrazione”.

Senza ipocrisia il sacerdote posa lo sguardo sul cortocircuito avvenuto prima e dopo i fatti. “Qualsiasi forma di violenza,  a torto o a ragione,  va decisamente stigmatizzata e non può essere la risposta a qualunque tipo di malessere,  così come l'accoglienza è autentica se le norme e le regole trovano applicazione,  come si addice a una società civile in uno stato di diritto”. Azioni a loro volta seguite da “frettolose prese di posizione”. Da qui l’appello netto a “cercare il bene ad ogni costo, rifuggendo sempre il male”, semmai testimoniando “solidarietà, integrazione e comunione”.

Nell’ordinanza il giudice ritiene che non vi sia pericolo di fuga degli indagati, ma questo non preclude misure di restrizione della libertà, data la gravità dei fatti. Il gip spiega che le tre vittime sono state interrogate separatamente ed hanno fornito versioni perfettamente coincidenti e “scevre da contraddizioni”. Il movente sarebbe da rinvenire nel presunto danneggiamento di un auto da parte di un ragazzino egiziano, avvenuto qualche giorno prima ma non rinvenuto dagli inquirenti. “Un mero pretesto, senza alcun riscontro”, scrive il gip.

La ricostruzione dell’agguato è impressionante. Con un auto che sbarra la strada ai tre ragazzini e un’altra che sopraggiunge, mentre uno dei maggiorenni italiani impugnava una mazza da baseball e un mattone. Secondo il gip gli accertamenti finora svolti “screditano alla radice” la versione alternativa fornita dai maggiorenni. Insomma, la “versione alternativa” degli italiani non regge. E durante gli interrogatori vi sono state anche contraddizioni oltre che dichiarazioni smentite dai fatti. In particolare, sottolinea il giudice, i tre italiani arrestati hanno sostenuto di non avere colpito nessuno di non avere visto alcun ferito, quando dal video (analizzato più volte) si vedono “i due Severo” e “il volto insagunitato” di uno degli egiziani. Uno dei fratelli Severo è più volte caduto in contraddizione, arrivando anche a sostenere di avere “solo sfiorato” i ragazzini. Inoltre secondo il giudice non si capisce come mai gli italiani, che parlano di aggressione subita, non siano andati a denunciare il fatto mentre se ne siano tornati a casa. Peraltro se il ragazzino finito in coma fosse stato davvero l’aggressore, gli adulti avrebbero comunque avuto il dovere di chiamare i soccorsi. Che per fortuna sono stati tempestivi evitando che il reato contestao fosse ben più grave dell’omicidio tentato. Quanto all’aggravante della discriminazione, il giudice scrive che è provato dalle espressioni usate durante la “furibonda” aggressione.

 

Qui la lettera di don Dario Curcio ai fedeli di San Cono

 

Alla comunità di San Cono

A margine dei tristemente noti fatti di cronaca che hanno segnato, ferito e diviso profondamente le coscienze della comunità sanconese, sento il bisogno di rendere manifesto il mio stato d'animo, quale diretto responsabile della comunità cristiana.

Anzitutto sono vicino a quanti stanno vivendo sofferenze in conseguenza dei drammatici eventi: partecipo al dolore di tutti,  senza distinzioni di sorta.

So bene che la comunità sanconese è per sua indole accogliente e pacifica, sempre ben disposta al dialogo e alla integrazione.

Qualsiasi forma di violenza,  a torto o a ragione,  va decisamente stigmatizzata e non può essere la risposta a qualunque tipo di malessere,  così come l'accoglienza è autentica se le norme e le regole trovano applicazione,  come si addice a una società civile in uno stato di diritto.

La comunità cristiana adulta e matura deve interrogarsi e riflettere, senza frettolose prese di posizione che inevitabilmente generano confusione e divisione.

La nostra identità cristiana, alla scuola del Vangelo, ci impone di non perdere la speranza e di mantenere viva la missione profetica, che consiste nel saper cercare il bene ad ogni costo, rifuggendo sempre il male.

Sono certo che verranno tempi maturi, quando cesserà l'inevitabile esposizione mediatica, per poter ulteriormente e responsabilmente crescere come comunità capace di esprimere solidarietà, integrazione e comunione.

il vostro parroco, don Dario

 

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