mercoledì 19 ottobre 2016
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Un lavoro immane dal punto di vista legale ma anche e soprattutto sociale. L’Italia è la prima a farlo: cercare cioè di dare dignità a quelle centinaia di persone (si parla di circa 800) morte nel terribile naufragio dell’aprile 2015 e sostituire i numeri ddi quelle bare con nomi e cognomi, identificati con l’incrocio dei dati post e ante mortem. «Ridare un nome alle vittime del Mediterraneo è un servizio non solo alla dignità dei morti, ma anche ai vivi». È convinta Milena Santerini, deputata alla Camera del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico.

L’ambizioso e difficoltoso progetto di identificazione, promosso dal Ministero dell’Interno, della Difesa e dalle Università italiane sta per concludersi. Più di 500 le vittime identificate (ma sono solo 70 quelle che hanno un nome). Uomini, donne e bambini che avevano affrontato il lungo e pericoloso viaggio in mare pieni di speranza. Quella speranza che oggi si rivive negli occhi di chi, fra ricercatori, medici, vigili del fuoco e operatori della marina militare (in tutto diverse decine di persone) sono impegnati a dare un nome a tutti quei numeri. «Impressiona vedere il barcone del naufragio recuperato con una generosa azione del Governo – prosegue Santerini – In piccoli spazi sono morte più di 800 persone, tutti ragazzi. Ci fa ricordare quanti ancora muoiono di speranza, per trovare lavoro o studiare in Europa». C’è un modello a Melilli, secondo la deputata democratica, che deve essere salvaguardato.

Un progetto scientifico e umano. «Il 'modello Melilli' di identificazione, coordinato dalla straordinaria dottoressa Cristina Cattaneo dell’Università di Milano e dal Prefetto Vittorio Piscitelli può essere valido in tutta Europa. Occorre rendere stabile il centro della Marina Militare di Melilli dove procedere all’identificazione post-mortem e creare una rete di dati ante-mortem per permettere il riconoscimento ». Sul tema Santerini ha anche annunciato la presentazione di una Risoluzione al Consiglio d’Europa. È importante infatti che l’Unione Europea, con i suoi 28 Stati membri, possa consolidare il progetto con una nuova rete di collaborazione per permettere l’incrocio dei dati delle vittime.

Non solo infatti i Paesi d’origine dei migranti (soprattutto nordafricani e subsahariani) possono essere d’aituo per i dati ante-mortem delle persone morte nei naufragi, ma ci sono poi i paesi europei dove molti parenti e legami familiari delle vittime risiedono. «Abbiamo in mano un modello che funziona bene dal punto di vista scientifico e umano – conclude la deputata – si tratta di un vero e proprio processo che serve ai morti per dare dignità alle vittime ma è anche fondamentale per i parenti e poter in questo modo avere la chiarezza della morte e un luogo. È importante incoraggiare gli Stati a collaborare».

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