giovedì 5 maggio 2016
Dai sindaci ai sacerdoti, i protagonisti di quella stagione. (Francesco Dal Mas)
LA STORIA Quella simbiosi tra Chiesa e popolo«Anche adesso chiamati a risorgere» (Lucia Bellaspiga)
Terremoto in Friuli: prima fabbriche, poi case
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Domani mattina, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà mostrato l’ultimo cantiere della ricostruzione del Friuli, distrutto dal terremoto la sera del 6 maggio 1976. Il castello di Gemona. La ricostruzione, in realtà, è finita da tempo, ancora nel 198889. Ed è costata – ricorda l’allora assessore Roberto Dominici – circa 13mila miliardi di vecchie lire. Ma – dirà questa sera, sempre a Gemona, in duomo, l’arcivescovo di Udine, Andrea Bruno Mazzocato, davanti a 18 vescovi e ai rappresentanti delle 80 diocesi italiane gemellate per anni con i paesi sinistrati – la ricostruzione morale è ancora da completare. Il Friuli della vita, che chiama i suoi bambini frut, e che alle 21.06 di quella sera di maggio, così stranamente calda, ha perso 965 persone, è tra i deserti della denatalità più preoccupanti d’Italia, come spesso sottolinea la presidente della Regione, Debora Serracchiani, oltre alla Chiesa, nelle sue varie espressioni.  La ricostruzione è stata un modello di efficienza, di partecipazione popolare, di etica, come ricor- da Franceschino Barazzutti, allora sindaco di Cavazzo. I preti, magari in tonaca, sulle macerie c’erano già quella notte. Attorno a loro, confortati dall’arcivescovo Alfredo Battisti, resistettero le comunità, prima in tenda, poi nelle baracche, quindi nell’esodo seguito al secondo terremoto, quello di metà settembre 1976. E i preti stessi animarono i comitati di paese – come ricorda monsignor Duilio Corgnali, capo allora di queste espressioni popolari – che imposero ai sindaci di farsi carico della prima assistenza e quindi della ricostruzione, strappandola alla Regione, che se la fece delegare dal Governo. Il commissario Giuseppe Zamberletti, inviato a Roma, seppe raccogliere immediatamente quest’esigenza di autonomia e la rilanciò. Fino a fondare con questo dna la Protezione civile. «La decisione di affidare ai sindaci la guida di tutte le forze, comprese quelle dello Stato, significava rifiutare la vecchia prassi centralista che proiettava sul territorio la propria mano commissariale, privando le comunità del valore di una guida fondata sul consenso locale e democratico». Ricostruzione e rinascita dal basso, dunque, condivisa dalle decine di migliaia di volontari intervenuti da ogni parte del mondo e dalle 80 diocesi che, con il coordinatore monsignor Giovanni Nervo, allora direttore della Caritas, implementarono sul territorio le conclusioni del convegno Cei «Evangelizzazione e Promozione umana», facendosi carico di ogni problema dei friulani, anche di quelli politici, fino a sostenere la necessità che per la ricostruzione culturale, oltre a quella materiale, fosse necessaria una università. Università che c’è, oggi più che mai florida. Mentre i processi di centralizzazione, anche politica, seguiti alla crisi che in vari ambiti ha imposto la razionalizzazione, stanno spegnendo quell’autonomia. Una scossa di 6,4 della scala Richter, 56 secondi di morte e distruzione, 77 Comuni danneggiati, 93.400 friulani senza tetto, due le province coinvolte, Udine e Pordenone, 80mila vani distrutti o gravemente lesionati, 100mila da riparare: questo è il tragico bilancio di quel 6 maggio. Prima le fabbriche, poi le case e, quindi le chiese, raccomandò monsignor Battisti. Le diocesi fecero arrivare i centri della comunità, dove si celebrava la messa, ma anche dove pulsava la ripresa delle singole comunità, anzitutto con la progettazione della ricostruzione. Nell’estate di quell’anno gli alpini e numerosi altri volontari ripararono migliaia di edifici. Ma a settembre arrivò quella scossa di 4,17 gradi che fu ancora più distruttiva. «Il terremoto del 6 maggio ha demolito il Friuli - ripeteva Battisti -, quello di settembre ha demolito i friulani. Il primo ha distrutto le case ma ha lasciato la speranza; il secondo sembra aver intaccato anche la speranza».
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