venerdì 8 aprile 2016
​Le estrazioni accentuano lo sprofondamento del terreno. Lega e Pd uniti dal referendum.
Referendum, viaggio nel Delta ferito dalle trivelle
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«Se mi a scrivo 'sì' a digo 'no' a le trivele?». La Tosca è tanto confusa. Un tempo votava Pci, poi Rifondazione, adesso si dichiara una 'elettrice delusa' di Matteo Renzi: «quel ragazzino ci ha promesso tante cose e io ci ho pure creduto…» Non appena la vede, Graziano Azzalin esce dal gazebo, l’abbraccia e la tranquillizza: il 17 aprile, le spiega il rappresentante della Regione Veneto nel comitato promotore del referendum, votare sì significa dire no alle trivelle che minacciano il Polesine. Poche parole, quante bastano alla signora Pregnolato che agguanta il depliant, promette di votare e punta sul verduriere. Al mercato settimanale di Porto Viro, dove gli asparagi sono grossi come le dita dei contadini, pochi sanno cosa sia la subsidenza ma tutti ricordano l’alluvione del ’51 e la nascita delle valli. Una volta, le lagune dove si coltivano le vongole erano risaie; gli agricoltori ne rivendicano ancora la proprietà. Azzalin ripete a tutti che questo non è un referendum contro Renzi ma per difendere il Veneto: «Non possiamo essere espropriati del diritto di decidere se, dove e soprattutto come sfruttare il nostro territorio. Se non vince il sì - dice - queste decisioni le prenderà Roma, senza considerare le ricadute locali ». La gente non scappa via, lo ascolta e ritira il volantino dei referendari. Forse non basterà a raggiungere il quorum, ma nel Polesine c’è un genius loci che si alimenta degli errori passati e lavora perchè questo referendum riesca. L’estrazione del metano è vietata nel Delta del Po. Decenni di sfruttamento hanno letteralmente svuotato la pianura, che corre diversi metri sotto il livello del mare. La subsidenza, cioè lo sprofondamento del terreno, è causata da processi geodinamici e non dall’industria mineraria, che però può accentuarla con le sue attività. Qui, tra il 1954 e il 1958, venivano estratti 230 milioni di metri cubi di metano all’anno. Nel 1959 diedero il colpo di grazia: trecento.  Si sapeva che la festa sarebbe finita, ed infatti, nel ’61, il Governo dispose la sospensione in un territorio campione e due anni dopo sull’intero Delta, dopo che erano stati misurati abbassamenti del suolo di oltre un metro, con punte di due. La frittata, però, era fatta. Documenti ufficiali attestano che «nonostante la sospensione dell’estrazione nei 15 anni successivi il territorio ha continuato a subire anomali abbassamenti. Recenti rilievi effettuati dall’Istituto di Topografia della Facoltà di Ingegneria di Padova hanno dimostrato che dal 1983 al 2008, i territori dell’Isola di Ariano e dell’Isola della Donzella si sono abbassati di ulteriori 50 centimetri…» Anche per questo, malgrado il blocco sulla terraferma e anche in mare, dove le nuove esplorazioni entro le dodici miglia sono vietate da un decreto del 1999 e da una sfilza di leggi regionali, per i veneti (e particolarmente per i polesani) andare a votare domenica prossima significa difendere la propria terra. Non a caso, il fronte del 'sì' va dalla Lega al Pd. «Sulle decisioni di buon senso ci si ritrova» è la risposta di Roberto Giambetti quando gli chiedi cosa ci faccia il presidente del Consiglio regionale del Veneto, 'leghista da sempre' e fedelissimo di Luca Zaia, a braccetto di un 'compagno' come Azzalin, che si definisce 'figlio di Berlinguer' e che nelle 'valli' rodigine che guardano la rossa Emilia è il consigliere regionale più votato. Nessun imbarazzo verso il governo: «Su questo punto, sbaglia», ammette il consigliere d’opposizione. Il Pd Veneto è schieratissimo e Zaia ha promesso agli elettori che le trivelle non passeranno, ma la politica c’entra fino a un certo punto. L’alleanza nasce dal modo che hanno i polesani di vedere il mondo: in queste terre basse per sguardi infiniti, che la torba rende succulente come il castagnaccio - da queste parti lo lavorano basso e stagno -, la sopravvivenza dipende dal delicatissimo equilibrio tra la pianura e il mare. Il polesano medio, che sia figlio di Berlinguer o di Bisaglia, li sente suoi e avverte come le trivelle possano compromettere questa complessa architettura di canali e di lagune, dove le zone emerse sono presidiate notte e giorno da centinaia di idrovore, in una lotta perenne contro l’Adriatico che prosegue dal 1600, quando i veneziani scavarono il Po di Venezia. «Facciamo due conti: le royalties per le esplorazioni di idrocarburi dentro e fuori le 12 miglia ammontano a 350 milioni mentre se consideriamo i giacimenti entro le 12 miglia sono 38 – riepiloga Azzalin col puntiglio dell’agrimensore – ma solo in Polesine sono stati spesi 3300 milioni per mettere in sicurezza gli argini che sprofondano e 700 per ripristinare il sistema della bonifica. E vogliamo continuare a trivellare?» Le analisi sono confermate dal consorzio del Delta del Po: attesta che «la subsidenza non si è fermata con la chiusura dei pozzi» e anzi segnala «gli effetti visibili nel Ravennate dove le piattaforme stanno oggi estraendo a poca distanza dalla costa dimostrano che i terreni stanno sprofondando e che l’erosione si sta mangiando le spiagge». Non è tutto. In Veneto, le trivelle minacciano di svuotare anche il mare. È il terrore dei pescatori di Pila, punto di riferimento per il pesce azzurro, e di Chioggia, il mercato più importante dell’alto Adriatico, oltre che capitale delle cozze e delle vongole veraci. «Il pescato si è dimezzato in dieci anni e scontiamo già i problemi creati dal rigassificatore di Porto Levante - ci dice Lucio Tiozzo, presidente di Ittica Service, la maggiore rete d’imprese chioggiotta - quindi diciamo un secco no alle trivelle». Coldiretti Impresa Pesca, coordinata da Alessandro Faccioli, è mobilitata: non ci sta a veder sacrificare un settore in crescita, che nel Delta conta duemila imprese e a Chioggia dà lavoro al 10% della popolazione. Oltre al rilascio di inquinanti e al rischio disastri, le piattaforme comportano immense fasce di rispetto. Intorno, non si può pescare e le marinerie lo considerano un furto bell’e buono. «Siamo stufi di subire decisioni prese senza neanche ascoltarci» protestano Angelo Boscolo, presidente della cooperativa Villaggio dei Pescatori, ed Emanuele Finotti, presidente della cooperativa Pescatori Maistra. Virginio Tugnolo, che guida le 250 imprese della coop Pila, è più esplicito: «L’Europa impone maglie più larghe alle reti e importiamo ormai tutto il pesce con cui si fa la frittura. Questo referendum svende ulteriormente il mondo della pesca, malgrado rappresenti più posti di lavoro, anche per i giovani, di quanti ne offra l’industria petrolifera nell’Adriatico. Ma questo il governo non lo dice».
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