mercoledì 1 luglio 2015
Lo strano fenomeno nel golfo di La Spezia: nessuna traccia di sostanze inquinanti nei mitili uccisi dalla marea di fango.​ Gli scienziati: che cosa è successo là sotto?
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“Dai pescatori”, il ristoro sul lungomare dove i muscoli passano direttamente dalla barca al piatto, anche oggi si fa la coda e se chiedi agli avventori cosa pensino della moria di quest’inverno il titolare ti caccia con ligure ruvidezza. Piombo da fonderia, idrocarburi dispersi negli anni e il tributilstagno che si usava nella cantieristica. Eppure, per gli spezzini questo resta il Golfo dei poeti e il porto la loro azienda più solida. Quella che sfida la crisi, raddoppiando il traffico dei container. Che resta anche quando se ne vanno dodicimila militari. Che dà lavoro a 10mila persone, cioè una famiglia su tre. Primum vivere, allora, tra paure e realismo. La Spezia ricorda Taranto, e non solo per via del comune amore per le cozze. Se negli anni Novanta si gremivano le piazze per difendere Pitelli e Pagliari, San Bartolomeo e Ruffino, oggi Legambiente può accusare fin che vuole i dragaggi che non bonificano, commissionati solo per ampliare il porto e accogliere le portacontainer di nuova generazione, può denunciare il «rischio eco tossicologico permanente» e gridare al «disastro ambientale», ma gli spezzini continuano imperterriti a sminuzzare mollica e prezzemolo e a riempirne i muscoli, il 'piatto nazionale', visto che l’Università di Genova esclude una «tossicità o immunotossicità acuta» nelle cozze uccise dal fango in febbraio e i test dell’Istituto Zooprofilattico e dall’Arpal confermano questa tesi. «Certo, là sotto qualcosa dev’essere successo » ammette Fabrizia Colonna, direttore spezzino dell’Agenzia regionale per l’ambiente, ma «non si può stabilire un nesso causale tra questa moria, mai verificatasi in trent’anni, e il dragaggio del porto». L’agenzia e l’Asl 5, coordinate dalla Capitaneria di porto, la quale fin dall’inizio ha coordinato l’attività degli enti locali, attivandosi nelle indagini, dichiarano che i mitili sono stati uccisi da un batterio, il vibrio splendidus, che diventa letale per i molluschi se l’acqua si intorbidisce (l’Arpal parla di «anomala quantità di fango») in coincidenza con la stagione riproduttiva. Una coincidenza di fatti talmente straordinaria da sterminare l’80% delle cozze e diventare un caso giudiziario.  La prima segnalazione della moria è del 9 febbraio. In precedenza si sarebbero verificati problemi di isolamento del tratto di mare dragato e in seguito anche uno sversamento di fanghi, durante il trasporto a Piombino, per il trattamento. La Procura ha aperto un fascicolo per «getto pericoloso di cose» e giovedì Legambiente ha presentato un esposto per denunciare il «rischio ecotossicologico permanente» e lanciare l’accusa di «omessa bonifica», in quanto prima di dragare «si dovrebbe procedere preliminarmente alla bonifica dell’area, come prevede il piano Icram, che è vincolante», come ci spiega Stefano Sarti, vicepresidente regionale di Legambiente, che ha scatenato l’offensiva insieme al giurista ambientale Marco Grondacci. L’avvocato Valentina Antonini spera di ottenere un contraddittorio per dimostrare le liaison tra il caso delle cozze e lo scandalo di Pitelli: alla Spezia, infatti, mare e terra non s’incontrano solo a tavola e anche se l’inquinamento del Golfo ha ben poco da spartire con i rifiuti tossici interrati nella 'collina dei veleni', da quando si è (furbescamente) cercato di inserire l’area portuale nell’elenco dei Siti di interesse nazionale il suo destino è legato normativamente alla bonifica mai partita di Pitelli, una delle pagine nere della nostra storia civile, che questa città vorrebbe voltare al più presto. «Già, e si rischia di mettere la testa sotto la sabbia - commenta Franco Arbasetti, che era l’anima della mobilitazione popolare -, perché sotto l’erba di Pitelli c’è ancora di tutto ». Dalle dodici discariche illegali scoperte in quindici anni di inchieste sono emerse relazioni pericolose con la Camorra, link con le navi dei veleni, tracce del caso Ilaria Alpi, ingombranti segreti militari, elenchi di politici corrotti e qualche morte sospetta. Dei 130 indagati sono stati rinviati a giudizio in undici: li hanno assolti tutti. Oggi, restano 200 ettari di terra contaminata da piombo (ma non solo) e le ordinanze che vietano di mangiare l’insalata dell’orto. Basta per salvarsi, dicono in Regione, perché «le modalità di esposizione che determinano la situazione di rischio sono esclusivamente l’ingestione o il contatto dermico di terreno superficiale». Effettivamente, le rilevazioni scagionano l’aria, i torrenti e le acque sotterranee, ma un margine d’incertezza permane. L’assessore all’ambiente del Comune, Davide Natale, ostenta sicurezza: «Pitelli appartiene al passato, il nostro problema oggi è la centrale Enel. Con la nuova Aia abbiamo ridotto i vecchi limiti di emissioni del 55% e adesso stiamo lavorando per una chiusura che non cancelli 400 posti di lavoro». Realismo, ma anche paure. «La Spezia ha il triste primato nei tumori della pleura - ci conferma Roberta Baldi, responsabile della struttura di Epidemiologia dell’Asl 5 -, tuttavia la presenza delle discariche è stata messa in relazione solo con alcune patologie dell’apparato respiratorio e con l’incremento di anemie. La mortalità oncologica è in linea con quella ligure e sta calando. I dati non presentano picchi correlabili a Pitelli». Tant’è vero che da un po’ si pensa di rivedere i divieti. «Vorremmo applicare nuove le metodiche di analisi usate in Campania, le più restrittive, tuttavia questa è una decisione che spetta alla politica» ammette Francesco Maddalo, Direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Asl 5. Anche l’Arpal ha individuato delle aree che potrebbero essere svincolate. Quanto al Golfo, si parla di una «contaminazione caratterizzata principalmente da metalli pesanti e secondariamente da idrocarburi pesanti, Ipa e Pcb», stabilizzata e concentrata lungo la costa, dove supera il metro di spessore. Immaginate la sorpresa dei ricercatori quando non ne hanno trovato traccia nei fanghi ingollati dalle cozze. In base alle prime analisi, sembra che quelli reperiti nelle carcasse non abbiano neanche la stessa composizione del suolo estratto dal molo Garibaldi, teatro dei dragaggi. Una circostanza che scagionerebbe le 'perdite' segnalate durante i lavori. Ma non darebbe una risposta circa l’origine del fenomeno. Sicuramente, come ci spiegano all’Arpal, nei molluschi non sono state riscontrate tracce di alcun inquinante e, come ci conferma invece il direttore della struttura Sicurezza Alimentare dell’Asl 5, Mino Orlandi, la moria ha colpito solo i mitili e non le ostriche e i piccoli crostacei. Altrettanto sicuramente, la concentrazione del fango nell’acqua degli allevamenti, ubicati vicino all’area di manovra delle grandi navi da crociera e dei sommergibili diretti all’area militare del Golfo, è passata da «valori fisiologici» (cioè minori di 100) a quota 1000. «Là sotto qualcosa dev’essere successo». 
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