martedì 14 giugno 2016
A trentaquattro anni dalla chiusura delle ultime miniere di mercurio nell’area del Monte Amiata, il minerale altamente tossico continua a finire nei corsi d’acqua tra Toscana e Lazio, poi nel Tevere e arriva fino al Tirreno.
Amiata, chiusa la miniera ma il mercurio uccide
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A trentaquattro anni dalla chiusura delle ultime miniere di mercurio nell’area del Monte Amiata, il minerale altamente tossico continua a finire nei corsi d’acqua tra Toscana e Lazio, poi nel Tevere e arriva fino al Tirreno. È presente negli scarti di lavorazione abbandonati nella zona delle miniere, nei suoli, nei sedimenti fluviali soprattutto del Paglia (affluente del Tevere che nasce proprio dalla zona dell’Amiata, la terza di tutto il mondo per produzione di mercurio), nelle acque superficiali, nella fauna ittica dei corsi d’acqua, ma anche nelle acque e nella fauna marina davanti alle coste di Lazio e Toscana. E con valori di concentrazione abbondantemente superiori a quelli definiti accettabili dal decreto legislativo 152 del 2006, il cosiddetto 'Testo unico delle norme in materia di tutela ambientale'.  Dati allarmanti frutto dell’attività di ricerca del dipartimento di Scienza della terra dell’Università di Firenze dal 2010 a oggi, contenuto nel dossier «La strada del mercurio» che sarà presentato oggi a Roma dall’associazione ambientalista «Amici della Terra» e che Avvenire è in grado di anticipare. «I risultati delle attività di ricerca – si legge nel dossier – fanno emergere una grave situazione di inquinamento da mercurio originata in più di un secolo di estrazione e lavorazione dei minerali di mercurio nel territorio dell’Amiata. Il mercurio percorre ancora oggi la strada dalle sorgenti del Paglia, lungo le pendici dell’Amiata, lungo tutta l’asta Paglia-Tevere, fino al Mar Tirreno». In 100 anni di attività si stima siano arrivati al mare almeno 60 tonnellate di mercurio. Ma l’elemento più preoccupante è che gli studi hanno evidenziato la presenza di «una quota significativa di mercurio in forma biodisponibile e quindi in grado di essere metabolizzato degli organismo viventi». Si tratta, dunque, denuncia l’associazione, di «una situazione di criticità ambientale sottovalutata che richiede il coinvolgimento delle regioni interessate e del Governo per definire tempestivamente una strategia adeguata di intervento di risanamento ambientale ». Per la messa in sicurezza e la bonifica delle aree. Iniziata a metà dell’800, l’estrazione è proseguita fino al 1982 con la chiusura delle tre maggiori miniere, Abbadia San Salvatore, M. Civitella e Morone. «Dopo più di 30 anni dalla chiusura delle miniere – si legge nel dossier –, considerati i ritardi negli interventi di bonifica, l’area del Monte Amiata è ancora fortemente colpita dagli effetti ambientali dell’attività mineraria: scarti di lavorazione ricchi di mercurio e mercurio metallico si trovano nei suoli fino a diversi km dagli impianti, finiscono nei torrenti e nei fiumi che attraversano l’area, nei sedimenti fluviali e lacustri, contaminando la biosfera (soprattutto i pesci) prima di finire nel mar Tirreno. Gli eventi di piena (come quello avvenuto nel novembre 2012) e le attività di escavazione provocano un’ingente mobilizzazione, trasporto e ridistribuzione del materiale contaminato presente nei bacini e nelle sponde fluviali dei fiumi coinvolti». Accade così che «le concentrazioni trovate nei campionamenti effettuati dal gruppo di ricerca dell’Università di Firenze negli ultimi anni sono spesso oltre i limiti previsti dall’Allegato 5 del DLgs 152/2006» che prevede che non debbano superare 1 milligrammo per chilo di sostanza secca per i siti ad uso verde pubblico e residenziale e 5 milligrammi per chilo di sostanza secca per i siti ad uso commerciale e industriale. E 1 microgrammo per litro per le acque sotterranee. Invece negli scarti di lavorazione la concentrazione va da 25 a 1.500 mg/kg, nei suoli da 150 a 400 mg/kg, dei sedimenti del fiume Paglia fino a 19 mg/kg, nelle particelle in sospensione nell’acqua superiori a 1 mg/kg. Limiti, dunque, abbondantemente superati. Non va meglio per le acque superficiali, per le quali «gli Standard di Qualità Ambientali (ossia le concentrazioni di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti che non deve essere superata, al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente) risulta superata nella maggior parte dei campioni». Così anche per la fauna. Infatti «la concentrazione di mercurio nei campioni di muscoli dei pesci d’acqua dolce, raccolti a diverse distanze da Abbadia San Salvatore e dal distretto minerario amiatino, variano da 160 a 1200 microgrammi/ kg», gran parte dei quali oltre il limite di sicurezza per il consumo umano di 300 microgrammi/kg. Un inquinamento che finisce in mare come confermano i dati raccolti dai ricercatori, sia nei sedimenti che nella fauna.
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