venerdì 18 dicembre 2015
La lettera del Ministro della Giustizia al direttore Marco Tarquinio: «Esiste pure una forma laica di misericordia, che consiste nel riconoscere la dignità umana sempre».
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Caro direttore, il Messaggio del Pontefice per la 49° Giornata Mondiale della Pace, reso noto subito dopo l’apertura del Giubileo della misericordia, contiene molteplici motivi di riflessione che mi auguro possano essere accolti e sviluppati anche nel dibattito pubblico del nostro Paese, da laici e cattolici insieme sulle tematiche dell’ambiente, dei diritti, della solidarietà, di una più ricca comprensione della persona umana. Qui provo a raccoglierne uno, in particolare, che mi sollecita nella mia responsabilità di ministro della Giustizia, nella quale sono entrato avendo specialmente a cuore la situazione carceraria. Considero infatti uno dei punti qualificanti dell’azione svolta in questi mesi la riduzione del degradante e intollerabile sovraffollamento delle carceri italiane, che ci aveva portato troppe volte, come Paese, davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Oggi la presenza dei detenuti negli istituti penitenziari è sostanzialmente in linea con la capienza: è un risultato importante, perché la disponibilità di spazi vivibili e decorosi è la prima condizione affinché si renda dignitosa la difficile condizione della detenzione. Sappiamo però che non basta. Sappiamo che la nostra Costituzione chiede che la pena non abbia natura semplicemente afflittiva, ma sia rivolta all’educazione del condannato. Per questo ho promosso gli 'Stati generali dell’esecuzione penale' con lo scopo di avviare un ripensamento complessivo della detenzione e di superare l’impostazione 'carcerocentrica' del nostro attuale sistema. Proviamo così a rimediare alla profonda ferita inferta al tessuto dei diritti del nostro ordinamento democratico, e al senso di umanità, da condizioni carcerarie lontane non solo dagli standard europei, come si è soliti dire, ma da quelli che noi stessi ci siamo dati con la Costituzione e, successivamente, con la riforma penitenziaria del 1975. Resta dunque molto ancora da fare sia per sviluppare pene alternative alla detenzione che per migliorare i meccanismi che regolano la vita negli istituti di pena, incrementando le attività trattamentali, favorendo il mantenimento delle relazioni familiari, agevolando il reinserimento sociale. Il punto decisivo consiste però nel fare in modo che la privazione della libertà non comporti una reclusione senza porte né finestre, priva cioè di aperture e di scambi con il mondo esterno. Questo infatti ci fa uomini: avere la possibilità di partecipare alla costruzione di un mondo pubblico comune o, come dice il Papa, alla famiglia umana. La condizione della detenzione limita necessariamente questa possibilità, ma non deve impedirla del tutto né deve instillare nel detenuto la convinzione che sia per sempre perduto quell’orizzonte più ampio di vita, a cui ciascun uomo ha diritto. Quando questo succede, non si esce mai veramente dal carcere e infine, da recidivi, si finisce col ritornarci. E finché il tasso di recidività rimarrà in Italia il più alto di Europa, non potremo certo andar fieri dello stato della detenzione nel nostro Paese.  Caro direttore, quando penso alla condizione carceraria, mi ricordo di quel paradosso contenuto in una celebre affermazione, che fece molto discutere, di un grande teologo cattolico, Hans Urs von Balthasar, secondo la quale l’inferno esiste, ma potrebbe essere vuoto. La riporto male, e mi scuso se non entro, per mia incompetenza, in complesse questioni teologiche. Certo non intendo banalizzare un punto di dottrina fondamentale, al quale è peraltro legata tanta parte del senso umano della giustizia. Ma nell’anno del Giubileo della misericordia non posso non ricordare come le molte parole di speranza e di misericordia depositate nella nostra tradizione religiosa consentivano al teologo svizzero di formulare almeno la domanda, o forse la preghiera, che vi sia per tutti una possibilità.  Ora, io penso allo stesso modo che, anche nelle cose umane non possa mai venir meno il momento del giudizio e della giusta pena, ma che esiste pure una forma laica di misericordia, che consiste nel riconoscere la dignità umana sempre, anche là dove essa sembra non esserci, o si nasconde. Se è così, allora le nostre carceri non si vuoteranno forse mai, ma per tutti rimarrà possibile guardare oltre i ristretti orizzonte del carcere, e sperare di lasciare un giorno, dietro di sé, un luogo vuoto.
 
* Ministro della Giustizia
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