giovedì 9 ottobre 2014
​Allarme di Save the Children: curare le madri per salvare i figli. In vent'anni 223 milioni di piccole vite stroncate da malattie. INFOGRAFICA FOTO
COMMENTA E CONDIVIDI
Se un neonato apre gli occhi alla vita in Danimarca è possibile, anzi quasi certo, che crescerà sano e vedrà l’età adulta. Se lo stesso neonato viene al mondo in Somalia probabilmente morirà prima dei 5 anni. 'Nati per morire' si intitola non a caso il rapporto di Save the Children – l’organizzazione che dal 1919 promuove i diritti dei bambini nel mondo – e il principale motivo per cui milioni di piccoli continuano ogni anno a morire è scritto nel sottotitolo, 'Indice di rischio mortalità mamma-bambino': il loro destino è scritto parzialmente nelle difficili condizioni di vita delle loro madri, misurate per la prima volta. «Intervenire sui fattori di rischio per le madri significa contribuire a garantire al bambino un diritto alla sopravvivenza – spiega infatti Valerio Neri, direttore generale – e assicurare buona salute a una mamma vuol dire proteggere l’eredità che lei trasmetterà al bambino: solo così milioni di bambini nasceranno per vivere».  

I numeri infatti sono a sei zeri: 6,3 i milioni di piccoli sotto i 5 anni che muoiono per cause del tutto prevenibili, come una semplice diarrea o una polmonite, e di questi almeno 2,8 milioni sono neonati. Un’ecatombe silenziosa che dal 1990 al 2013 si è portata via 223 milioni di piccole vite, uccise da malattie che nei nostri Paesi si curano con pochi centesimi. Sulla base dei cinque principali fattori di rischio, dunque, il rapporto stila una classifica di 146 nazioni e attribuisce a ogni Paese un indice di mortalità infantile, che vede appunto la Danimarca al primo posto, con un indice bassissimo (3,7 decessi ogni 1.000 nati vivi) e la Somalia all’ultimo (180 bimbi morti ogni 1.000 nati vivi). L’Italia è al diciannovesimo, dunque i suoi neonati hanno ottime possibilità di vivere e di crescere sani, anche perché le condizioni di salute delle madri sono spesso eccellenti. Cinque infatti i fattori di rischio presi in considerazione dalla ricerca di Save the Children: l’età troppo giovanile delle madri, la loro denutrizione, l’accesso alle cure prenatali, la scolarizzazione e il reddito. 

Isidore, 5 mesi, Repubblica Centrafricana (Save the Children)Quella delle mamme adolescenti, ad esempio, in certe regioni è quasi una piaga. Su oltre 7 milioni di ragazzine che ogni anno diventano madri nel mondo, 70mila perdono la vita mentre partoriscono, e comunque i loro figli sono esposti a problematiche gravi, quali sottopeso e difficoltà respiratorie: rispetto ai bambini nati da giovani donne adulte (20-29 anni) hanno addirittura metà delle possibilità di sopravvivere al primo mese di nascita. La situazione è serissima, se si pensa che in Chad (penultimo posto prima della Somalia) 152 bimbi ogni mille nascono da madri bambine o in Niger ben 200 ogni mille, e solo un quinto delle puerpere ha accesso a cure prenatali e a una nutrizione sufficiente... Il paradosso, se vogliamo, è che i problemi in Italia sono semmai legati ai nostri eccessi opposti, tipici di un Paese fino a oggi benestante e poco motivato alla vita: l’età media della prima gravidanza si assesta addirittura ai 30,3 anni e il guaio delle madri è l’obesità (14,9%), due malcostumi che procurano rischi ai nascituri. 

Presidio sanitario di Save the Chidren a Sorobo, Etiopia (FrancescoAlesi/Save the Children)Emblematica la storia di Pinky, 22 anni, nepalese, oggi madre felice di una bimba di 8 mesi, ma in passato ha visto morire il suo neonato, nato con polmoni troppo piccoli per dargli la forza necessaria a succhiare il latte. O di Pooshpa, oggi vera istituzione tra le donne del Nepal tra le quali opera come ostetrica per Save the Children, ma in passato sposa bambina, costretta alle nozze e a 4 parti legata con le corde come prevedono i metodi tradizionali: a piedi o in bici raggiunge i villaggi e porta assistenza, cultura, cure... difficile dire quante vite ha salvato. Ma sono gocce in un oceano di arretratezza e povertà, aggravate dalle emergenze come il virus ebola, che espone al contagio ben 2 milioni e mezzo di bambini sotto i 5 anni in Sierra Leone, Guinea e Liberia, Paesi in cui già muoiono ogni giorno 100 piccolini per diarrea, malaria e polmonite. 

Operatrice sanitaria di Save the Children nel distretto di Dhodhari, Nepal (Foto Bijai Gajmer/Save the Children)Nati per morire, insomma, soprattutto in Africa subsahariana e in Asia meridionale, le regioni del pianeta in cui si concentrano i 4 quinti delle morti infantili, complici la malnutrizione (48%), una semplice polmonite (15), la diarrea (9), la malaria (7), ma anche nascite pretermine (17%) o problemi nel parto (11). Save the Children risponde in 40 Paesi con massicci programmi di nutrizione (14,4 milioni di bambini raggiunti solo nel 2013) e di salute materno-infantile (13,2 milioni). Parte oggi a Roma e farà tappa a Bari e Milano la campagna di sensibilizzazione al 'Villaggio Every One', oltre un mese in cui ognuno potrà essere operatore Save the Children per un giorno, sperimentando le semplicissime soluzioni che salverebbero la vita a milioni di bambini identici ai nostri. Solo nati in un altro Paese.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: