martedì 14 maggio 2013
Divide la scelta dell'attrice americana che, di fronte a un difetto genetico che la esponeva all'87% di probabilità di sviluppare un tumore alle mammelle, ha preferito la strada della chirurgia preventiva. I medici: casi come questo riguardano solo il 10% delle donne che si ammalano.
L'EDITORIALE Il coraggio e l’illusione di Lucia Bellaspiga
IL BREVETTO Dietro quel test una dura battaglia legale
IL GENETISTA «È una decisione motivata ma non obbligatoria»
LA PSICOTERAPEUTA «Altissimo il costo umano della sicurezza chirurgica»
COMMENTA E CONDIVIDI

Ha scelto di mutilarsi perché un domani avrebbe potuto sviluppare un cancro al seno, esattamente come già sua madre in passato. La notizia, apparsa ieri sui siti di tutto il mondo, che Angelina Jolie si è sottoposta a una doppia mastectomia preventiva è di quelle che fanno fare alle donne un balzo sulla sedia, instillando anche non pochi dubbi sul da farsi. L’annuncio lo ha dato la stessa attrice sul New York Times: «Ho deciso di farmi asportare i due seni perché avevo un gene difettoso, ora il rischio di ammalarmi di cancro è sceso dall’87% al 5%. Ne parlo perché spero che altre donne possano avere un beneficio dalla mia esperienza». «Una scelta abbastanza frequente nel mondo anglosassone, molto meno al di qua dell’Oceano», commenta Maurizio Tomirotti, direttore dell’Unità di oncologia medica del Policlinico di Milano che come altri suoi colleghi ieri si è sentito interpellare da molte donne allarmate. «Il rischio è che notizie così scatenino il panico – si preoccupa l’oncologo milanese – mentre stiamo parlando di una piccola fetta della popolazione femminile. Oltre alla mutazione genetica deve infatti esserci un’associazione con un rischio familiare, ma casi così vengono monitorati in strutture di medicina predittiva che esistono, per esempio, all’Istituto dei tumori di Milano e all’Istituto oncologico europeo». La scelta della Jolie – che lei stessa raccomanda alle donne con un problema simile – non sarebbe in ogni caso alla portata della maggior parte delle sue connazionali poiché negli States il solo test genetico costa oltre 3.000 dollari (2.300 euro). Senza parlare di un intervento di doppia mastectomia con ricostruzione plastica che può andare dai 30mila ai 70mila dollari (54mila euro circa) ed essendo volontaria nessuna assicurazione la coprirebbe. «Sono stato assediato dal fuoco di fila delle domande di amiche, conoscenti, pazienti – racconta Roberto Agresti, direttore dell’Unità complessa di chirurgia senologica dell’Istituto dei tumori di Milano, all’attivo migliaia di interventi ogni anno. «Non si dica che è stato trovato un nuovo metodo preventivo – avverte –, parliamo di una percentuale bassissima di casi. La selezione deve essere fatta anche solo su chi può candidarsi ai costosi test genetici». Per Agresti dunque la «mastectomia a riduzione di rischio», così si chiama, pur rappresentando una possibilità, è l’estrema ratio. E anche in quel caso occorre la valutazione di un’équipe «formata da genetista, chirurgo, psicologo e il tutto deve avvenire in centri altamente specializzati non in ospedale». Altrimenti il 5% di rischio che sussiste anche dopo un intervento demolitivo come quello a cui si è sottoposta l’attrice americana potrebbe essere molto più alto.Nei casi di tumori «ereditari» il rischio interessa sia la mammella che l’ovaio. Pertanto le donne nella situazione della Jolie devono affrontare anche l’asportazione delle ovaie, come sostiene Riccardo Masetti, direttore del Centro di senologia del Policlinico Gemelli di Roma: «La scelta che ha fatto è pienamente motivata, ma non è obbligatoria. Casi come il suo riguardano meno del 10% delle pazienti che affrontano un tumore del seno. Si tratta di quelle donne che hanno una forte familiarità e che, sottoponendosi a un test genetico, scoprono di avere delle mutazioni al gene Brca1 o Brca2. Quando si riscontrano queste anomalie in questi geni, il rischio di sviluppo di un tumore del seno aumenta fino all’80%. Tuttavia, anche in questi casi, la mastectomia preventiva non è una scelta obbligata». Non volendosi sentire «controllate speciali» cioè rifiutando di sottoporsi a esami diagnostici (ecografia, mammografia, risonanza) ogni sei mesi c’è dunque chi sceglie l’intervento del chirurgo. «È una scelta psicologica – commentava ieri Umberto Veronesi – che va fatta singolarmente. Da uomo della medicina però la reazione alla mastectomia bilaterale radicale è di ribellione: si ritorna alle mutilazioni sul corpo femminile contro cui mi sono battuto per tutta la vita».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: