martedì 29 dicembre 2015
Oltre alla squadra di calcio femminile Sporting, cronisti e imprenditori nel mirino.
Giochi sporchi e puliti a Locri
di Massimiliano Castellani
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La pressione criminale strozza la Calabria e rischia di condannarla a morte. Perché non la lascia respirare. Le reazioni della società civile non mancano ma spesso restano episodi isolati e soprattutto, col passare del tempo e spenti i riflettori, i problemi rimangono. Amara constatazione che emerge dalle parole di Ferdinando Armeri, presidente della squadra di calcio a 5 femminile, Sporting Locri, destinatario di minacce esplicite assieme alla sua famiglia. Il caso è al vaglio della procura locale, mentre il prefetto di Reggio Calabria ha disposto «adeguate misure di protezione » nei confronti della dirigenza della squadra. Pure il vescovo di Locri-Gerace, don Franco Oliva, s’è schierato al loro fianco come i vertici del mondo sportivo nazionale. «Locri deve giocare. Il 10 gennaio voglio vedere le ragazze in campo» ha dichiarato il presidente del Coni, Giovanni Malagò, esprimendo la sua solidarietà alla squadra femminile e sottolineando che «lo sport italiano è al fianco della società e delle atlete che non devono assolutamente cedere a questi vergognosi gesti». Il numero uno della Federcalcio, Carlo Tavecchio, ha parlato di «vergogna», aggiungendo l’impegno di portare a Locri «le azzurre del calcio a cinque per testimoniare la nostra solidarietà. Il calcio italiano è unito contro la violenza e contro la vergogna di chi attraverso la minaccia non vuole si faccia sport».  Quanto successo a Locri è solo una delle mille teste del mostro criminale che negli ultimi giorni ha azzannato la terra di Calabria. La vigilia di Natale una busta con una frase intimidatoria, un proiettile e il titolo d’un articolo del Quotidiano del Sud è stata ricevuta dai giornalisti Francesco Mobilio, cronista della redazione vibonese, Pietro Comito, direttore dell’emittente LaC, e dall’avvocato del foro di Vibo, Marco Talarico. Circa sei anni fa i due giornalisti e il legale avevano ricevuto analoghe minacce aventi sempre lo stesso argomento: il cosiddetto 'Palazzo della Vergogna', edificio nel centro di Vibo rimasto disabitato per ventiquattro anni e divenuto pericolante e pericoloso per l’incolumità pubblica. Il palazzo è stato abbattuto poco prima di Natale. Il titolo di giornale ritagliato e inserito nel pacco minatorio riguarda la notizia dell’avvio dei lavori di demolizione. Nella notte tra sabato e domenica, sempre a Vibo, tre automobili sono state distrutte dalle fiamme. Due appartenevano a un imprenditore (la terza era di un’altra persona) in passato vittima d’intimidazioni e danneggiamenti di vario genere, a cominciare da colpi di pistola e incendi ai danni di negozi. Episodi che hanno fatto pensare a tentate estorsioni. Sabato il titolare di una catena di discount nel Cosentino è stato picchiato a sangue. Gli investigatori che indagano sul caso prediligono la pista che lega l’aggressione al rifiuto dell’uomo d’affari di pagare il 'regalo di Natale' ai clan per boss e picciotti in carcere. Il 'fiore' che si incassa almeno nelle feste comandate: a Pasqua, Ferragosto e Natale. Scadenze che bisogna rispettare, altrimenti si rischiano pestaggi violenti come successo al malcapitato nel Cosentino o incendi e danneggiamenti come accaduto all’imprenditore vibonese.
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