giovedì 29 gennaio 2015
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Diretta ed esplicita. Lei avrebbe voluto il 'Registro delle convivenze', ma in Campidoglio «c’è stata solo una battaglia ideologica e non veramente di diritti. Perché se la battaglia fosse stata quest’ultima, allora la richiesta di dare un contributo in più, attraverso i miei emendamenti, sarebbe stata esaudita ». Daniela Tiburzi, Pd, presidente della 'Commissione elette di Roma Capitale', si è astenuta al momento del voto per l’istituzione del registro delle unioni civili e non si è espressa contro «solo per rispetto al sindaco». Nessuna distonia «nel merito e nel contenuto », ma «politica, voglio che questo sia chiaro». Anche perché «per stendere i miei emendamenti mi ha dato una mano un mio amico omosessuale, del quale sono fiera, che si è preoccupato venissero tutelati i loro diritti e non strumentalizzati, che è un’altra cosa». Insomma, si poteva «ampliare la delibera» – spiega – anche «nei confronti di tutte quelle «nuove forme di convivenza presenti sul nostro territorio, visto che molti cittadini romani stanno ricorrendo alla convivenza non solo per affetto o compagnia, ma anche per necessità economiche. Conosciamo casi persone che sono amiche o comunque parenti alla lontana e ricorrono alla convivenza proprio per sopravvivere».  La Tiburzi va avanti. «Così abbiamo perso una grande occasione», quella di «offrire alle cittadine e ai cittadini romani, soprattutto quelli meno tutelati», appunto un «efficace strumento» che avrebbe garantito «una reale libertà di scelta e nuove possibilità di stipulare un 'patto di convivenza' quale soluzione privatistica a cui chiunque avrebbe potuto liberamente ricorrere per pianificare consapevolmente la propria sfera personale di interessi». Perciò gli emendamenti che «avevo presentato s’ispiravano alla normativa tedesca e al 'Registro delle convivenze'», sarebbe a dire, secondo lei, «un’ottima sintesi che esaudisce le richieste delle coppie che si sentono discriminate dalla mancanza di un riconoscimento formale del loro rapporto».
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