mercoledì 23 dicembre 2015
Sono quelli che non ti aspetti sulla rotta Balcanica. Indossano la toga d’avvocato, il copricapo bianco di un imam, il grembiule di una casalinga o la giubba di un poliziotto che se ne infischia degli ordini. (Nello Scavo)
I profughi e la strage che continua
In viaggio coi samaritani della Storia
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I samaritani che non ti aspetti indossano la toga d’avvocato, il copricapo bianco di un imam, il grembiule di una casalinga o la giubba grigia di un poliziotto ungherese che se ne infischia degli ordini dall’alto. Alcune volte sono camionisti macedoni dal cuore tenero o la lattaia serba che a lasciare i bambini siriani con il biberon vuoto proprio non ci sta. La rotta balcanica è anche questo. Il "buon samaritano" che ti attende in fondo al tunnel ferroviario e ha l’espressione mai stanca di Lence Zdravkin, che ha fatto del suo villaggio un approdo sicuro per le carovane che da due anni risalgono a piedi, in bicicletta, su malmessi treni jugoslavi i maledetti 1.500 chilometri dal confine greco fino al caldo abbraccio dell’inverno austriaco. Sopravvissuti ai marosi nel tratto d’Egeo tra Turchia e Grecia, comincia una nuova odissea tra banditi, passeur famelici, burocrati corrotti e i governi Ue che aprono e chiudono gli accessi legali come fosse la lotteria di Capodanno. Degli 800mila transitati in Macedonia quest’anno, Lence li ha visti passare quasi tutti. Più i trentamila dell’anno precedente che ha assistito quando la rotta balcanica non era ancora da prima pagina. Ogni giorno si reca nei campi che lei stessa ha contribuito a insediare, trascinandosi marito, figli e decine di vicini di casa che in una quotidiana moltiplicazione dei pani e dei pesci riescono a non far ripartire nessuno a pancia vuota. E ogni notte Lence aspetta da dietro alla vetrata che si affaccia sulla stazione di Veles. Una finestra sulla Storia. Perché non c’è una sola ora che trascorra senza che alla spicciolata o in grossi gruppi, arrivino stranieri diretti a piedi verso Nord, lasciandosi guidare dalla ferrovia a binario unico. «Quando capiscono che noi li aspettiamo, anche se non li conosciamo, è come se a molti passasse la stanchezza». Poi se ne vanno. La maggioranza invia a Lence foto e messaggi da ogni tappa, fino al traguardo europeo. Immagini e parole con cui oggi potrebbe imbastire il più affollato diario di viaggio di sempre.  Ancora 50 chilometri più a Nord, i samaritani hanno lo slancio idealista e battagliero dell’Associazione dei giovani avvocati macedoni. Sfidando i diktat ufficiosi delle autorità, numerosi neolaureati in Legge assistono i richiedenti asilo mettendoli in guardia dalle trappole e dalle lacune di una burocrazia colta di sorpresa da un afflusso senza precedenti. Spesso la modulistica consegnata dai doganieri ai migranti contiene errori, oppure non viene accompagnata da spiegazioni esaustive, con il rischio di vedersi negato il diritto alla protezione umanitaria. Sostenuti dall’Acnur, l’associazione ha attivato canali web e un numero telefonico gratuito grazie al quale è possibile accedere a un pronto soccorso legale gratuito. Gli "avvocaticchi" fanno sul serio. A settembre hanno ottenuto un risultato storico, riuscendo a far condannare il ministero dell’Interno di Skopje per aver violato «le norme sulla libertà di movimento – si legge nella sentenza – e il diritto all’uguaglianza». Un verdetto che sta facendo giurisprudenza e che viene brandito dall’Associazione dei giovani legali ogniqualvolta si tentino ingiustificate restrizioni agli immigrati. Prima di lasciare la terra che ha dato i natali a madre Teresa di Calcutta, i profughi vengono istradati verso Kumanovo, ultima città di confine prima di addentrarsi nell’incognito della Valle di Presevo, in territorio serbo. È come se lo spirito della suorina macedone che diverrà santa (di etnia albanese e famiglia kosovara), pervada ancora oggi luoghi, fedi, culture. Ma senza far chiasso. Nella città frontaliera per mesi e mesi il mullah Nazmi, imam della principale moschea, ha trasformato il centro di culto in una casa d’accoglienza. «I cristiani sono i benvenuti e a centinaia e centinaia sono stati nostri ospiti nei locali attigui alla moschea», raccontano alcuni anziani che nonostante il freddo non si sottraggono alle gelide abluzioni all’aperto prima del richiamo di uno stonato muezzin. Ismail, un profugo cristiano di Homs, non nasconde la gratitudine: «Venire accolti da autorità e famiglie musulmane è stato inaspettato». I poliziotti non sono ben visti. Perché le minacce e le estorsioni dei contrabbandieri fanno meno male delle manganellate di un militare che sbraita in una lingua che non capisci. «Non sappiamo mai se possiamo fidarci oppure no», confessa Faiza. Siriana, medico, madre di tre bambini e già vedova di guerra, tiene stretti al petto i due figli più piccoli e il lasciapassare delle autorità serbe. Nei dintorni di Subotica, dove bisogna decidere se bussare al varco ungherese o procedere attraverso i sentieri sterrati verso la Slovenia, Faiza ha incontrato donne serbe che ogni sera fanno il giro dei casolari abbandonati nei quali i profughi sostano per la notte, regalando latte, pannolini, biscotti e una tale quantità di copertine colorate che ti viene il dubbio abbiano svaligiato un grande magazzino. Non lontano da qui, nell’ungherese Szeged, i ranger pattugliano il lungofiume alla ricerca di irregolari. Non è una caccia. Perché infischiandosene degli ordini da Budapest, la polizia locale raduna i migranti e li porta in un centro d’accoglienza su cui il governo centrale non ha autorità. Giusto il tempo di rifocillarli, consegnargli un "foglio di via" che concede tre giorni per lasciare il Paese. In altre parole, è l’autorizzazione a raggiungere legalmente l’agognata Austria. Non prima di una sosta nella solenne abbazia benedettina di Pannonhalma, dove i monaci non chiedono il certificato di battesimo ai viandanti ed hanno un pasto caldo e un comodo giaciglio per chiunque.  «E se tra le persone aiutate vi fosse stato qualche terrorista di Daesh?», ha chiesto una volta un giovane reporter americano a Lence Zdravkin. «Ragazzo mio – rispose –, lo facciamo perché è giusto. E ogni volta che diamo un letto, un pasto, una carezza a uno di loro, riaffermiamo i nostri valori e sottraiamo queste persone alla tentazione del terrorismo. Scappano per salvarsi. Rifiutandoli e respingendoli, sai quanti di questi ci giurerebbero odio?».
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